Luca Lorini
, direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza e Area critica dell’ospedale Papa Giovanni, è convinto che sia necessario isolare al più presto gli over 65, per salvaguardarli dall’epidemia di coronavirus. “Non dico chiudersi in casa – le sue parole ai microfoni del Corriere della Sera – ma per esempio uscire per una passeggiata sì, andare al supermercato no. Mi baso sui dati: dei 36.000 morti della prima ondata, 33.000 appartenevano a quella fascia. Se fossimo stati capaci di proteggere questa generazione, non avremmo avuto tutti questi morti”. Luca Lorini non vuole più rivedere «tutti quegli anziani che non ce la fanno. Se salviamo quella generazione, già decimata, salviamo la memoria storica. Su 100 pazienti di 75 anni, ne abbiamo persi il 35-40%». Isolare gli over 65 sarebbe una scelta drastica, «Ma è l’unico modo per tutelarli – ha proseguito nella sua disamina – si chiede loro un sacrificio di cinque settimane, ipotizzo. Altrimenti rischiamo che fra tre settimane ci sia un lockdown totale».
LUCA LORINI: “SECONDA ONDATA? SIAMO PRONTI MA…”
Quindi Luca Lorini sottolinea ulteriormente la gravità per le persone di una certa età: «Dico una frase forte: andare a festeggiare i 72 anni al ristorante significa che si rischia di celebrare un funerale. Non va vissuto come un gesto di costrizione ma d’amore. Il motto “nessuno incontri nessuno” diventa “nessuno incontri nessuno se ha almeno 65 anni». Togliendo la fascia di età degli over 65, secondo Luca Lorini la pandemia sarebbe decisamente più gestibile: «I giovani spesso si contagiano senza saperlo, quindi salvo eccezioni ora non sono una preoccupazione. Gli sportivi, anche, spesso scoprono di essere positivi perché sottoposti al tampone nelle dinamiche dalla squadra. Mi rimane una fetta di popolazione che posso gestire bene. Se arriva un 45enne e lo devo anche intubare, rimane in terapia intensiva una settimana, passa in sub-intensiva e dopo una settimana torna a casa». E su un’eventuale nuova ondata: «Dal punto di vista psicologico non vorrei farlo mai, ma noi siamo qui. Per me curare una polmonite da aspergillo o da Covid è la stessa cosa, il punto è un altro: se devo riconvertire l’ospedale, si bloccano le altre attività».