Luca Palamara non era corrotto. Dopo quattro anni di polemiche sulle presunte mazzette girate al Consiglio superiore della magistratura (CSM) per le nomine dei procuratori e dei presidenti dei tribunali, il processo si è concluso con un patteggiamento ad un anno e quattro mesi. Ma per traffico di influenze, niente corruzione. L’ex pm ha spiegato di voler accedere ai riti alternativi «senza riconoscere alcuna forma di mia responsabilità, ma solo per liberarmi dal fardello dei processi ed essere così più libero di portare avanti la battaglia di verità per una giustizia giusta». Ma ci tiene ad evidenziare che «è caduta ogni ipotesi corruttiva» e di non aver «mai venduto» la sua funzione.
«Mai avrei tradito il giuramento fatto al momento del mio ingresso nella magistratura», ha aggiunto Luca Palamara, che ora si sente «più libero di dedicarmi con rinnovato vigore alla battaglia di verità su ciò che non ha funzionato all’interno della magistratura e nei rapporti tra politica e magistratura». L’ex pm vuole essere anche un supporto per «quei tanti cittadini onesti che vogliono far sentire la loro voce per una vera riforma della giustizia che da troppo tempo manca nel nostro Paese».
CANTONE “QUADRO DELLE INDAGINI RESTA IMMUTATO”
Anche il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che aveva ereditato l’inchiesta dal predecessore Luigi de Ficchy, si ritiene soddisfatto per come si è concluso il processo. «La modifica dell’imputazione, con la derubricazione del reato in una fattispecie introdotta solo nel 2012 con la legge anticorruzione che, pure meno grave della corruzione, rientra comunque nel novero dei reati contro la pubblica amministrazione, lascia immutato il quadro delle acquisizioni investigative compiuti negli anni dall’ufficio». Inoltre, per Cantone «appare altresì coerente con un recentissimo orientamento della Cassazione, espresso nel novembre 2021, nel procedimento contro un sindaco di Roma». Il riferimento del procuratore di Perugia, come evidenziato dal Riformista, è al fascicolo ex mafia Capitale per il quale figurava tra gli imputati Gianni Alemanno e che aveva alzato la soglia probatoria per la contestazione del reato di corruzione. La conclusione del processo, alla vigilia della testimonianza del colonnello Gerardo Mastrodomenico, ex comandante del Gico della Guardia di finanza, che aveva condotto le indagini, è per Raffaele Cantone «in linea con lo spirito della recente riforma Cartabia». Quindi, con rapidità si definiscono due procedimenti complessi «che avrebbero significativamente impegnato l’ufficio inquirente e quello giudicante nei prossimi anni».