Le proteste imperversano nelle università italiane dopo lo scoppio della guerra in Medio Oriente. A parlarne, sulle pagine de La Verità, è Luca Ricolfi, professore e intellettuale. Si parte nella discussione da quanto accaduto all’università di Torino, con l’ateneo che ha deciso di non partecipare a un bando di cooperazione scientifica con Israele. “Il caso di Torino mi tocca particolarmente, perché ho insegnato all’Università di Torino quasi tutta la vita e purtroppo non è la prima volta che succedono episodi di questo genere. In realtà non sono sicuro che le notizie che ci sono state riferite sulla vicenda siano precise. Da quello che ho capito, l’ateneo ha mantenuto tutti gli accordi precedenti con Israele, ma ha rinunciato appunto a partecipare a un bando, almeno così ho capito”.



Secondo l’intellettuale “proprio perché il mondo è turbolento e i conflitti sono molto radicali e inquietanti, penso che debbano esistere delle zone franche, non solo nella cultura. Ad esempio, quando furono boicottati i russi alle paralimpiadi, io scrissi un articolo contro questa decisione. Lo sport, la cultura, l’arte, ma anche la ricerca spaziale sono tutti ambiti nei quali bisognerebbe mantenere una libera circolazione delle persone e delle idee, perché questo può anche essere un elemento di attenuazione dei conflitti. Non abbiamo proprio bisogno di peggiorare la situazione”. Secondo il sociologo, “cose di questo tipo sono assurde e inaccettabili in tutte le sfere che dovrebbero essere esenti da conflitti di questo genere”.



Ricolfi: “Perdiamo tanto sul piano scientifico-culturale

Dopo la mozione del Senato Accademico di Torino, Luca Ricolfi parla di “antisemitismo conclamato” in un’altra intervista su La Stampa. “A mio parere, quello cui siamo di fronte non è semplicemente antisemitismo ma una forma inedita di razzismo, che perseguita o invita a perseguitare le persone non per gli atti di cui sono responsabili, ma i loro caratteri ascritti: etnia, nazionalità, sesso. È la fine della civiltà liberale, che era basata sulla tolleranza, che era basata sulla tolleranza, e sul principio di responsabilità personale”. Nelle università italiane, secondo il sociologo, sta accadendo “quello che accade da 60 anni, per ora con frequenza inquietante: si impedisce di parlare a chi la pensa in modo non gradito ai collettivi studenteschi”.



In questo contesto si sta cercando “politicizzare tutto, non solo la scienza, dai rapporti interpersonali ai codici etici delle imprese e delle istituzioni. La faziosità e la politica stanno invadendo quelle che, a mio parere, dovrebbero sempre restare zone franche sacre: la ricerca scientifica, la letteratura, l’arte, la musica, il teatro, lo sport. Ma ci rendiamo conto che, tra un paio d’anni, l’università di Milano ha soppresso il corso di Paolo Nori su Dostoevskij perché russo?”. Così facendo, il docente non ha dubbi: “Si perde tantissimo sul piano scientifico-culturale. Ma si perde molto anche sul piano politico-diplomatico”.