La crisi dell’Italia legata a scuola e lavoro: questa l’analisi di Luca Ricolfi, docente di Analisi dei dati all’Università di Torino e presidente della Fondazione «David Hume». “Il nostro problema non è la diseguaglianza, ma l’immobilità sociale: il destino sociale delle ragazze e dei ragazzi, ancora oggi, dipende ancora troppo dalla classe sociale di origine”, le parole del professore ai microfoni del Giornale.



L’obiettivo dovrebbe essere quello di innalzare il livello di istruzione reale dei figli di tutti i ceti sociali, ma la realtà è che la scuola pubblica si è occupata di alzare il livello nominale di istruzione. La scuola democratica si è rivelata una macchina della disuguaglianza, l’amara convinzione di Ricolfi: “Perché l’abbassamento della qualità dell’istruzione ha danneggiato più i ceti popolari che quelli alti. I primi hanno un’unica arma a disposizione, la preparazione, i secondi ne hanno tantissime: reddito, patrimonio, capitale culturale, sistema delle conoscenze, ripetizioni… Se abbassi il livello di preparazione, togli ai ceti bassi l’unica arma con cui possono competere con quelli alti”.



L’analisi di Ricolfi

“Il mercato del lavoro è spietato e riconosce agevolmente le false certificazioni. Se la scuola certifica competenze che non hai, provvede il mercato a ristabilire il tuo vero valore. Di qui il senso di frustrazione di tanti giovani, illusi dalla scuola e delusi dalla realtà”, ha proseguito Ricolfi nel suo dialogo con il quotidiano milanese. Una riflessione approfondita anche sui salari scarsi, in Italia si registra il calo tra i più forti in Europa: “Perché da noi la produttività è ferma da un quarto di secolo, cosa che non succede in nessuna altra società avanzata”. Una battuta sul nodo immigrazione e su quanto pesa sulle politiche del lavoro in Italia: “Più che sulle politiche del lavoro, il nodo immigrazione pesa sui salari degli italiani. Difficile dire quanto, ma mi sembra ingenuo pensare, come molti a sinistra, che nel nostro Paese non esista dumping salariale – le parole di Ricolfi – Poi c’è l’altra faccia della medaglia: l’immigrazione, grazie ai bassi salari, fa ricchi gli imprenditori, grandi e piccoli, regolari e irregolari. E non dispiace ai ceti medi riflessivi, che non vivono in quartieri degradati, e sono ben lieti di frequentare ristoranti etnici e disporre di badanti e colf a basso costo”.

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