Parlare di “neolingua” non può non mandare la mente alla profetica e lucida “visione” di George Orwell con il suo “1984”: e infatti nel “Manifesto del libero pensiero” scritto da Paola Mastrocola e Luca Ricolfi il riferimento al libero pensiero in contrasto alla “dittatura” del pensiero unico è costante.
«La parola oggi è sofferente. È la parola degradata dei social. Abusata, stravolta, strumentalizzata, incattivita, imbarbarita, usata a sproposito, storpiata, sgrammaticata, svilita. Lasciata in pasto alla massa, che la bistratta senza riguardo. Ma è anche la parola imprigionata. Nei luoghi seri e ufficiali, negli ambiti che contano, nelle grandi aziende e nelle istituzioni, nel mondo della comunicazione, della pubblicità e dello spettacolo, è la parola ammutolita e modificata. Eterodiretta, imposta, reindirizzata», comincia così il nuovo libro dell’insolito duo contro i rischi di una modernità innamorata a tal punto del politicamente corretto tale da sfociare ad estremismi come la “cancel culture”, la “maggioranza” delle minoranze e la “dittatura” dei diritti. Intervistato da Stefano Zurlo per “Il Giornale”, è lo stesso neo-editorialista di “Repubblica” ad esporre perché oggi vi sia un’urgenza di recuperare un pensiero il più possibile: «il politicamente corretto esiste da 45 anni», ma solo negli ultimi tempi è come in atto una «proliferazione di varianti del ceppo originario». Una delle più violente è il razzismo al contrario: «si colpevolizza il maschio bianco eterosessuale in quanto tale, ossia a prescindere dai suoi comportamenti». È bastato asserire qualche giorno fa questo pensiero su “Rep” per essere subito additato come «l’uomo di destra» che sputa su anni di battaglie anti-razziste, anti-omofobe e femministe. Evidentemente non conoscono Luca Ricolfi, tutto fuorché un “destro”.
IL “MANIFESTO” DI RICOLFI CONTRO LA DITTATURA DEL PENSIERO UNICO
«Esiste anche una sinistra che si rende conto delle minacce alla libertà di parola» – e qui Ricolfi loda il caso isolato del giornalista Piero Sansonetti, direttore del “Riformista” – «ma il problema è che non ha il coraggio di uscire allo scoperto, per paura del fuoco amico dell’establishment di sinistra». Il problema è molto più vasto e profondo di quanto non possa sembrare una “semplice” battaglia tra idee: «vi sono atti di esclusione e intimidazione verso chi non si adegua alla neo-lingua», attacca ancora Ricolfi sul “Giornale”, definendo la stessa lingua politicamente corrette spesso «fabbricata da una minoranza che si auto-attribuisce compiti di riforma, educazione e censura, senza aver ricevuto alcun mandato». Una neo-lingua che serve all’establishiment per rientrassi ogni volta, giungendo però sempre (o quasi) negli ambienti di sinistra secondo il sociologo: il potere «ha scelto di posizionarsi a sinistra e reciprocamente la sinistra trova facilmente una sponda nell’establishment», questo anche perché la destra negli anni ha fatto davvero pochissimo per assumere caratteri «più ragionevoli e liberali». Citando l’increscioso caso della docente di filosofia del Sussex, Kathleen Stock, femminista perseguitata per le sue idee contrarie alla “gender theory”, Ricolfi lancia un monito alla cultura e società moderna anche qui in Italia: «la libertà di espressione è in pericolo? Se intendiamo poter dire come la si pensa ovunque, senza timore di essere stigmatizzati o intimiditi, direi che la libertà più che essere in pericolo è già scomparsa. C’è più libertà di parola in un pub inglese che nell’università del Sussex».