Nella morte di Luca Sacchi, il personal trainer di venticinque anni ucciso a Roma con un colpo di pistola alla nuca mentre cercava di difendere la fidanzata da uno scippo, si intrecciano due dinamiche tutt’altro che secondarie. Come spesso accade esse emergono assumendo la prospettiva del carnefice, piuttosto di quella – innocente – della vittima.



È evidente che i carnefici in questione, due giovanotti – probabilmente romani – su un motorino, si sentivano autorizzati alla violenza nel caso le cose si fossero messe male: questo dato è così vero che si sono portati appresso un’arma vera e carica, pronta a far fuoco. Ma allora, e qui sta la domanda, da dove nasce questo sentirsi autorizzati alla violenza? Da che cosa nasce in quei due e in ciascuno di noi?



Siamo dentro una dinamica sociale così malata che, in fondo un po’ tutti, si pensa che chi ostacola la realizzazione di un mio piano, chi mi impedisce la realizzazione di un desiderio, possa essere eliminato. Anzi: debba essere eliminato. Viviamo in un tempo così abituato a soddisfare bisogni e desideri, spesso confondendoli, che quando il meccanismo si inceppa si crede di avere una sorta di antico diritto all’estinzione di ciò che ha fatto inceppare il meccanismo. La favola del nostro matrimonio è così bella (nella mia testa) che se tu – amore mio – provi ad andare fuori copione, io ti ammazzo. L’intelligenza di mio figlio, specchio e realizzazione di ciò che desidero, è così arguta che se tu – vile docente – non gli dai il voto che ho in testa, ti faccio fuori. La dittatura dei desideri è così forte che non ammette obiezioni. Ho visto talmente tante volte nei film fare soldi con uno scippo che, se tu – vittima designata – non me lo permetti, io ti faccio fuori.



Luca Sacchi è morto perché ha interrotto l’ingranaggio del desiderio del suoi aggressori. E che cos’è successo quando ciò è avvenuto? Che quei due, o anche uno solo di essi, hanno concretamente pensato – e questa è la seconda dinamica che mi preme sottolineare – che l’unica risposta possibile al dolore che hanno sentito fosse il male. Qui c’è l’altra grande verità: il male, mai come oggi, nasce nel cuore dell’uomo come risposta al dolore, come risposta al tradimento di un desiderio che l’uomo aveva già stabilito secondo quale canovaccio dovesse realizzarsi.

Roma è oggi una città violenta perché la nostra è un’epoca violenta in cui la facilità della realizzazione di ogni desiderio apre la strada all’impossibilità che essi non vengano soddisfatti, alla necessaria “giustizia” che occorre mettere in campo qualora la libertà di un altro si metta di mezzo tra me e il progetto violento che io ho elaborato nella mia mente per la realtà.

Mettetela come volete, raccontatela come vi pare, ma in fondo a tutto troverete questa atroce verità: Luca Sacchi non è morto perché Dio guardava da un’altra parte, né è morto per caso. Luca Sacchi è morto perché con la sua libertà ha provocato nei propri aggressori un tragico – e inaccettabile – ritorno alla realtà.