Mimmo Lucano è stato il «dominus indiscusso» di un sistema che «ha strumentalizzato l’accoglienza a beneficio della sua immagine politica». L’ex sindaco di Riace era al vertice «di un’organizzazione tutt’altro che rudimentale». Era il capo di un «sistema clientelare». A tracciare questo ritratto è Fulvio Accurso, presidente del Tribunale di Locri, in 904 pagine di motivazioni della condanna. Per il collegio Mimmo Lucano non è simbolo di un modello di integrazione e accoglienza, ma un cinico criminale. Per questo è stato condannato a 13 anni e due mesi, quasi il doppio rispetto alla richiesta della Procura di Locri.



Il collegio ha chiarito che non si tratta di una «valutazione politica», i giudici aggiungono anche che «non vi è traccia di “reati di umanità” che sono stati in più occasioni evocati». Definiscono invece strumentale la lettura delle difese, che hanno parlato di «persecuzione politica (..) finalizzata ad azzerare il sistema di integrazione ed accoglienza». Quel modello esaltato anche da grandi registi, sindaci e gente comune era un bluff.



“RIACE? SISTEMA DI ARRICCHIMENTO PERSONALE”

Per Fulvio Accurso e il resto del collegio, dopo ave realizzato il cosiddetto modello Riace, Mimmo Lucano si sarebbe reso conto che «gli importi che venivano elargiti dallo Stato per governare quel fenomeno erano più che sufficienti», eppure avrebbe scientemente deciso di «reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti». La sua povertà, per il Tribunale di Locri, era una «condizione di mera apparenza» da non valorizzare perché «si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».

Per i giudici farebbe quasi da alibi ad una strategia di lungo periodo, in quanto gli investimenti che «avrebbe fatto con i soldi avanzati dal progetto di accoglienza per i migranti costituivano, ad un tempo, una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore».

MIMMO LUCANO “BUGIE PER GIUSTIFICARE CONDANNA”

Di fatto, per i giudici, frantoio, albergo diffuso e laboratori dove lavoravano i migranti sarebbero stati per Mimmo Lucano una specie di salvadanaio futuro. Quindi, l’ex sindaco di Riace era diventato leader di un «organismo associativo elevato a Sistema, che ruotava attorno all’illegale approvvigionamento di risorse pubbliche, e che si basava su una piattaforma organizzativa collaudata e stabile, che si avvaleva dell’esperienza e della forza politica che Lucano possedeva». Sono valutazioni durissime, a cui Mimmo Lucano ha replicato altrettanto duramente.

«Se io mi sono arricchito, dove sono questi soldi? Perché non lo dimostrano? Non mi aspettavo complimenti, ma neanche che si utilizzassero bugie e cose non vere per giustificare la mia condanna», le parole riportate da Repubblica. Dunque, promette battaglia in appello. «Appena possibile mi consulterò con il mio legale, perché sono certo che in appello potrò dimostrare la mia innocenza». Mimmo Lucano se l’è presa con «le destre italiane», attribuendo loro «la necessità di infangare quell’esperienza. A loro non interessa la condanna. Mi possono dare anche l’ergastolo, ma se l’opinione pubblica non abbandona Riace, non sono contenti».