C’è il cliente con un “contratto di fornitura a prezzo fisso che cambia ogni mese”. C’è quello che non si accorge che tra le linee della terza pagina dell’ultima fattura gli viene comunicata una variazione delle condizioni economiche. C’è quello a cui viene proposto il passaggio dalla formula a prezzo fisso a prezzo indicizzato come più vantaggioso. Oltre al caro energia, districarsi nella giungla delle offerte richiede un profilo di competenza che pochi consumatori hanno.
Nel presentare il decreto bollette che mette sul piatto 3 miliardi tra bonus alle famiglie e sgravi alle Pmi, il ministro Fratin ha dichiarato che altrettanto importante è “la sfida di riuscire a dare un meccanismo trasparente e leggibile da tutti di quello che è il sistema di tariffazione delle bollette”. Anche Mario Draghi nel suo intervento all’Europarlamento, aveva indicato la necessità di una maggiore trasparenza del mercato retail. La liberalizzazione del mercato dell’energia (completata nel 2007) non sembra aver portato grandi benefici ai consumatori…
«In fondo sono solo 20 anni», esordisce con una battuta Mirko Sitta, amministratore delegato di SagMe, società di consulenza energetica che guida i suoi oltre 5mila clienti tra utenti domestici, partite Iva e industrie, attraverso il complesso mondo dell’energia offrendo non solo opportunità di risparmio in un mercato a elevata volatilità, ma individuando l’offerta che meglio si attaglia alle esigenze di fornitura.
«Il mercato retail è stato un po’ abbandonato all’opportunità che si creava per ogni singolo venditore. Il sistema regolatorio ha cercato di definire il prezzo regolato, costretto ad abbandonare – dopo molte di procedure d’infrazione del diritto Ue – per arrivare al sistema di tutele graduali. Ma più che tutela questo è stato un gioco al rialzo. Un ottimo specchio per costruire un prezzo all’ingresso».
In che senso?
Un trader non misura le proprie perdite sulla base di un’analisi dei costi effettivi, né dei margini sui costi effettivi, ma sulla parte dei margini riconosciuti dal mercato rispetto al prezzo che si è disponibili a fare. Quindi, se il mercato attraverso il prezzo regolato esprime un costo di 15, anche se con un prezzo di 10 potrei vendere con margine, in realtà valuto una vendita a 10 come una perdita di 5.
È una semplificazione molto superficiale, però è veramente il ragionamento che viene applicato dai trader. Dare un riferimento di prezzo per il mercato diciamo di tutela, secondo me, ha costituito un’opportunità importante per tutti i trader del mercato retail.
Da chi è formato il mercato retail?
Da tre tipologie di società. Quelle che hanno la potenza di fare acquisti di materia prima alle borse all’ingrosso all’estero per portarsi poi la materia prima sia gas che energia elettrica in Italia e rivenderla al cliente finale, prendendosi da una parte tutti i rischi e costi, però, sapendoli gestire, anche ampi margini.
Poi ci sono gli operatori che comprano gas metano o energia elettrica in Italia al Psv (Punto di scambio virtuale, ndr), allo stoccaggio, alla borsa elettrica nazionale o anche ai nodi che ci sono sulla rete, e lo portano al contatore del cliente. Seppur con minori rischi rispetto ai primi trader, questi operatori devono comunque fare un dispacciamento, e devono fare una programmazione che rappresenta uno strumento delicato su cui si possono fare errori che impattano i bilanci della società di vendita.
Infine, ci sono i reseller che acquistano il gas o l’energia elettrica al contatore, diciamo prima di quella che si chiama la flangia di consegna e lo rivendono subito dopo il contatore al cliente finale.
Semplici intermediari?
In una catena li metto al pari degli agenti perché non introducono, a mio avviso, alcun valore nella filiera della fornitura, ma rappresentano un disvalore sul sistema energetico italiano.
Perché?
Perché il loro margine non può stare altro che nella parte di marketing e commerciale. Perché non producono dei dati con un dettaglio maggiore a beneficio del sistema rispetto a chi intermedia facendo una programmazione giornaliera per il gas, quarto oraria per l’energia elettrica. Non forniscono neppure un sensibile supporto in termini di garanzie finanziarie al sistema; aspetto che fu tra i più discussi proprio nell’ultima crisi di mercato nel 2022-23.
Questo genera, secondo me, un forte disvalore. E lo si vede nelle bollette fatturate ai clienti. Non solo. Queste bollette rappresentano un ulteriore riferimento di prezzo al rialzo per chi vende al mercato finale.
In che senso?
Mettiamo che le società di vendita potrebbero vendere a 10 con un margine, ma c’è un reseller che vende a 15, loro venderanno a 14,5, con un extra margine di 4,5.
Questo spiega perché i grandi gruppi energetici dividono il proprio business tra chi fa trading e chi commercializza il prodotto sul mercato?
Esatto. Mentre c’è un obbligo di legge che prevede la distinzione tra l’operatore che distribuisce e trasporta l’energia e colui che vende, non c’è invece alcun obbligo di legge di separazione tra chi fa trading e chi commercializza. Inizialmente erano accorpati. Poi sono stati i vantaggi fiscali a portare le società di trading all’estero, lasciando le società di commercializzazione in Italia.
Più che segnali di prezzo di un mercato in equilibrio, appaiono come prezzi artificialmente costruiti. Quasi un cartello…
Il termine è un po’ forte. Ci sono quasi 800 operatori, quindi è difficile accusarli di formare un cartello. Sicuramente si può parlare di un’egemonia di fatto di due o tre gruppi che portano la materia prima in Italia. Inoltre, c’è un modo di vendere che è particolarmente dispendioso. E quindi costoso per i consumatori.
Per esempio?
Quando un agente fa firmare un contratto a un cliente domestico può guadagnare dai 70 ai 100 mila euro, ma anche fino a130-140 euro a contatore. Normalmente nelle abitazioni ci sono due contatori, quindi il costo di commercializzazione per una società di vendita oscilla tra i 150 e 280 euro a cliente. La società di vendita sa di avere questo tipo di costo per l’acquisizione di un cliente, ma altrettanto è consapevole che l’agente ha tutto interesse a spostare il cliente nell’arco di 6 mesi.
Quindi, la società di vendita deve recuperare il costo di commercializzazione pieno nei sei mesi e fare un prezzo che in realtà ha durata annuale, caricando così un costo di commercializzazione in fattura che può andare tra i 300 e i 560 euro l’anno per cliente domestico.
Si tratta del fenomeno del turismo energetico?
Esatto, e impatta sulle offerte commerciali perché la società di vendita deve tutelarsi da queste migrazioni e recuperare questi costi di rotazione in un arco di tempo ristretto. C’è chi riesce a farlo in quattro mesi perché ha un importante turnover di clienti, chi in 6-8 mesi . Quindi il cliente si trova sicuramente a pagare dei sovraccosti di commercializzazione del prodotto che non sono proprio dipendenti dal costo della materia prima.
Dove si possono trovare questi costi di commercializzazione in bolletta?
Dovrebbero essere sotto la voce costo della materia prima, ma non è sempre così, né sono espressi in maniera evidente. Se uno esaminasse attentamente un’offerta di fornitura, potrebbe vedere che nella sezione “Oneri di sistema”, che comprendono tra le altre spettanze all’Autorità, sono compresi anche voci come costi di sbilanciamento stabiliti dall’operatore per se stesso, nonostante sia vietato sia da Arera, sia dal Codice del Consumo.
Se la bolletta non è facile da decifrare, che dire delle offerte commerciali?
Le offerte commerciali possono avere validità di 12, 24 mesi, ma anche 3 mesi. La comunicazione della loro modifica avviene con diverse modalità. Può anche essere semplicemente contenuta all’interno delle pagine della fattura scritta in piccolo oppure in una lettera a parte. Il cliente ha 20 giorni di tempo per accettare o no, dopodiché ai sensi della legge, la modifica diventa operativa. Succede anche che per prassi alcune società di vendita emettono la fattura il 6 del mese e la recapitano il 22, quindi a termini già decorsi.
Difficile anche un confronto tra bollette di operatori diversi. Arera aveva annunciato un’uniformizzazione delle bollette.
La regolazione può essere uno strumento interessante, ma quando le regole si moltiplicano tanto vuol dire che ci sono tante scappatoie. Ci vorrebbero soltanto dei controlli differenti per evitare certi tipi di “approfitti” – preferisco questo termine rispetto a truffa che si sente spesso.
Ci sono in realtà degli approfitti da parte delle società di vendita che non vengono visti dall’ente di regolazione. Talvolta su questi sistemi fanno fatica anche gli avvocati, perché tendono a guardare l’applicazione di un contratto in una fattura secondo le regole del Codice civile, non invece nell’applicazione del codice secondario, quello di settore.
Già il passaggio dalla fattura di dettaglio a quella di sintesi ha spesso favorito l’opacità delle voci di costo inserite dai fornitori, anche perché ci vogliono poi dei sistemi informatici ad hoc per comprenderle (SagMe li applica). Se dalla fattura di sintesi passiamo a quella “uniforme” quali altri rischi corriamo?
Da qui l’esigenza di un consulente tecnico-commerciale super partes?
SagMe si candida a questo ruolo. Nasciamo nel 2017 quale approdo di una serie di riflessioni maturate quando lavoravo in società di vendita di energia. Non ho mai condiviso questa eccessiva propensione alla commercializzazione del prodotto fatta al costo vivo per il cliente. Quindi, abbiamo costruito un modello, sperimentato e affinato in questi anni, mettendoci a fianco dei clienti.
Noi li rappresentiamo nelle operazioni di acquisto della materia prima sia che si tratti di metano che di energia elettrica, trattando con i fornitori offerte commerciali che non contengano i costi di commercializzazione. E questo è possibile perché non ci sono legami tra noi e le società di vendita. Primo obiettivo è dare servizi più alti. La riduzione del costo energetico è una conseguenza. Nel giro di tre/quattro mesi la parcella del nostro incarico è stata ripagata.
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