IL CASO DI ANNA E IL RISCHIO DI UN’EUTANASIA DI STATO: PARLA LUCETTA SCARAFFIA
Il caso di Anna, la donna morta a Trieste dopo aver richiesto e ottenuto la pratica del suicidio assistito con intervento diretto del Servizio Sanitario Nazionale, ha riacceso ancora una volta i riflettori sulla tematica scottante dell’eutanasia. Secondo Lucetta Scaraffia – scrittrice, storica, giornalista cattolica e femminista – il rischio è che se si continua di questo passo, senza una legge chiara che “superi” la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Dj Fabo-Cappato, si potrebbe arrivare rapidamente ad una eutanasia di Stato.
«Un suicidio assistito non è eutanasia, è semplicemente accettare che una persona si suicida ed aiutarla a realizzare la sua decisione»: con questa premessa parte l’editoriale di Scaraffia su “La Stampa” di mercoledì, utile a chiarire subito che i fatti come quelli visti sul caso di Anna a Trieste sembrano «spingere verso una apertura futura all’eutanasia». Che ogni Regione, Asl e Tribunale vada per conto proprio dipende dal fatto che manca una legge dello Stato a normare la vicenda ambigua a incerta sul suicidio assistito: Lucetta Scaraffia fa però un passo successivo nel riconoscere come nel caso di Anna non vi sia la condizione prevista dalla sentenza 242/2019 della Consulta, «così si aprono possibilità di denunce di tipo penale inevitabili».
SCARAFFIA: “IL DESIDERIO DI SOFFRIRE MENO NON SI RISOLVE CON LA MORTE”
Per Scaraffia non si può decidere in maniera diversa di volta in volta secondo l’opinione dei giudici: «la vita e la morte costituiscono problemi troppo importanti perché un Paese non consideri ogni elemento in proposito alle idee di libertà, giustizia e cultura». Il dramma di quella donna 55enne morta a Trieste con un farmaco fornito direttamente dal SSN, qualunque esso sia e con qualsiasi motivazione dietro, ha di fatto “cancellato” ogni dibattito e ogni problema che la sua esistenza le poneva davanti, in quanto «ha cancellato se stessa».
Lucetta Scaraffia invita la comunità e lo Stato a non spegnere i riflettori su una vicenda troppo importante come quella evidenziata dai casi di suicidio assistito ed eutanasia: chi soffre tante, chi pesa su società e famiglia con le proprie malattie spesso gravi, e decide di suicidarsi «cancella il problema duro da affrontare della sofferenza, del valore della vita, del senso della morte». In sostanza, arrivare con lo Stato a uccidere persone «per non voler vedere i problemi», ribadisce la storica, «non è una soluzione vera ma solo una scappatoia momentanea». L’accusa di Lucetta Scaraffia è rivolta sopratutto con la società moderna e con la secolarizzazione che non ha più trovato risposte adatte da offrire, parlando di “libertà” senza realmente capire di cosa si tratti: «la libertà di morire non esiste, la morte è considerata la fine di tutto e viene presentata come oggetto del desiderio di chi soffre». E così l’interrogativo finale è rivolto a tutti, dove la giornalista prova a chiedersi se il desiderio vero non sia forse il voler soffrire di meno davanti ad una vita tutt’altro che facile. Il desiderio di una minor sofferenza, il desiderio di comprendere il senso di una vita vissuta in quelle condizione, il senso ultimo di ogni vita umana: la morte impedisce di cercare tutte queste risposte, conclude Scaraffia, anche se «in questa Risposta (sì, con la R maiuscola, ndr) è racchiuso il senso profondo di ogni esistenza».