Luciano Leggio ha tanti soprannomi: è conosciuto come Liggio, per via di un errore fatto da un brigadiere durante la trascrizione del suo nome. Ma negli ambienti mafiosi era conosciuto pure come La primula rossa di Corleone. Ed è proprio in questa cittadina che il futuro mafioso nasce e muove i primi passi. Entra presto a far parte di Cosa Nostra grazie all’influenza dello zio Leoluca e inizia subito a farsi notare per essere un ragazzo facilmente infiammabile. Nasce così il suo primo soprannome: Cocciu ‘e tacca, ovvero chicco di fuoco. Finisce molto presto nel mirino delle autorità, soprattutto quando a soli 19 anni viene denunciato per porto d’armi abusivo. Poi l’arresto e tre mesi di carcere per aver dato fuoco ad alcuni covoni di grano in campagna. Nel frattempo colleziona due accuse pesati: essere autore del campiere Stanislao Punzo, all’inizio degli anni Quaranta, e di aver ucciso Calogero Comaianni nel ’45, la guardia campestre che lo ha arrestato per la prima volta. In entrambi i casi però Liggio non è mai stato condannato. Con Punzo fuori dai giochi, Liggio ha la possibilità di diventare campiere di Strasatto e bracio destro del nuovo capomafia di Corleone, il dottor Michele Navarra.
LUCIANO LEGGIO DETTO LIGGIO: L’OMICIDIO DI NAVARRA
Luciano Leggio detto Liggio è considerato uno dei più grandi boss di Corleone. Fin da giovanissimo dimostra infatti la volontà di scalare i vertici di Cosa Nostra, tanto da scegliere di rompere ogni rapporto con il boss di allora, Michele Navarra. Dopo aver costituito la società armentizia, Liggio finirà per inasprire i rapporti con il boss, che di contro ordinerà il suo omicidio. Rimasto incolume, Liggio passa all’attacco e con l’aiuto di sette sicari uccide Navarra. Liggio però riesce a proclamarsi boss di Corleone solo nel ’63, in seguito alla strage del bastione San Rocco. Oggi, domenica 7 giugno 2020, Rai 3 per Enzo Biagi trasmetterà una delle interviste fatte a Luciano Leggio in passato. “Conoscevo Navarra, non era il medico della nostra famiglia […] sui morti bisogna stendere un velo misericordioso”, ha detto all’epoca, negando di aver mai ordinato l’uccisione del boss o di sapere i nomi degli assassini. “La persona onesta deve farsi i fatti suoi, poi se la Polizia crede di imputare me, all’anima di chi lo ha fatto, io non faccio i nomi, perchè io non sono tenuto a fare il poliziotto per nessun motivo al mondo”, ha aggiunto, “mi sono state attribuite tante cose. Questo dimostra che non sono così potente come si è voluto far credere”. Liggio definisce le accuse che gli sono state mosse negli anni come ‘vergognose’ e non veritiere: dal suo punto di vista, la sua presenza in Cosa Nostra era più simile a quella di un muretto, su cui molti si sono poggiati.