Tra i tanti nomi (per così dire) ‘dimenticati’ attorno alla strage in via D’Amelio che uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque dei sei agenti di scorta che erano con lui, c’è anche quello di Luciano Traina: agente di polizia, impiegato nella Squadra Mobile di Palermo e fratello di quel Claudio 27enne che quel giorno si trovò per una pura fatalità al servizio del giudice antimafia; incaricato di sostituire un collega che si era ammalato il giorno prima. A Claudio abbiamo dedicato un pezzo a parte, così come alla strage di via d’Amelio, al famosissimo giudice e – soprattutto – agli eroici agenti della scorta; mentre tra queste righe vogliamo soffermarci sulla figura di Luciano Traina, sulla promessa che gli fece suo fratello Claudio giusto un paio di ore prima di quelle 16:59 in cui esplose la bomba in via D’Amelio e anche sulla vendetta che riuscì ad ottenere a distanza di 4 anni: una vendetta agrodolce, ma più agra che dolce.



Sulla vita pre-Polizia del fratello di Claudio Traina non sappiamo un granché, ma grazie a doversi racconti che ha fatto lo stesso Lucina nel corso degli anni dopo la strage in via D’Amelio possiamo dire che lui entrò nel corpo di Polizia nel 1972, prestando inizialmente (da protocollo) servizio in una città distante dalla sua Palermo, ma ottenendo – come spesso accade – il trasferimento qualche anno più tardi, esattamente nel 1985.



Luciano Traina, il ricordo del fratello Claudio: “Quella mattina eravamo a pesca assieme”

“Claudio l’ho conosciuto meglio nel 1985 – ha raccontato Luciano Traina in un’intervista per l’associazione Libera -, da quando sono tornato a Palermo. Mi vedeva come un idolo, diceva che voleva fare il poliziotto per dare alla società quel qualcosa che viene a mancare”. Un racconto che, però, passa subito a quel dannato 19 luglio 1992: “Ero a casa – ricorda – mi telefona e mi dice: ‘Finalmente dopo più di due mesi domenica sono libero. Se vuoi andiamo a pescare‘” e lui (ovviamente) accettò. Quella mattina “era molto molto solare” ma ad un certo punto si rabbuiò: “Aveva ricevuto una telefonata racconta ancora Lucian Traina -, disse che un collega stava male e doveva sostituirlo, sarebbe dovuto rientrare”.



Quella (anche se nessuno dei due lo avrebbe mai immaginato), fu l’ultima volta il cui si guardarono negli occhi: “Si girò – continua il fratello dell’agente eroe – e con un sorriso tra il dolce e l’amore mi disse ‘il pesce c’è, tu continua a pescare, poi lo porti dalla mamma. Mi raccomando riunisci tutta la famiglia‘ e se ne andò”. Passarono poche ore e Luciano Traina – “ero pronto per uscire” – rispose ad una telefonata: “Sentivo mia mamma urlare, aveva visto alla tv che era successo qualcosa di eclatante” e fu un collega accorso a casa sua per raggiungere assieme la scena della strage a dirgli che il fratello Claudio era morto. “Io barcollai – ricorda – non volevo crederci, non ci credevo. In cuor mio pensavo che l’avrei trovato ancora vivo”, ma una volta raggiunta via D’Amelio notò “una macchina completamente distrutta” con appoggiata “una gamba intera, maciullata. Riconobbi la scarpa di mio fratello Claudio“.

Ma vi abbiamo accennato anche alla vendetta di Luciano Traina pr il fratello Claudio e per scoprirla dobbiamo andare avanti dal 1992 al 1996, quando – ancora addetto della Squadra Mobile palermitana – prese parte al lungo appostamento di 48 ore che si concluse con l’eclatante arresto dell’allora boss (ed oggi pentito) Giovanni Brusca. Un successo, che si conclude con il suo trasferimento immediato in Sardegna, dove trascorse gli ultimi mesi del suo servizio prima del pensionamento anticipato: ufficialmente la ragione è legata a dei presunti pericolo ritorsivi, ma ancora oggi Luciano Traina si chiede se sia stata una sorta di punizione.