“Chi è felice, ha ragione”. Lo scriveva Tolstoj nella Russia di due secoli fa, non meno abitata dalle ombre e con davanti tempi non meno foschi di quelli che viviamo oggi. È vero. C’è una moltitudine di guerre che oggi ci assedia. Ma ancora, non la disperazione, non il buio, non la forza che viene meno riusciranno a darci futuro e speranza per i giorni a venire. Abbiamo il dovere di proteggere una cosa che non viene più nominata, come fosse per sempre scomparsa dai destini umani e dall’orizzonte delle nostre esistenze. Come se cercarla o invocarla sia divenuto atto colpevole di qualche indulgenza non dovuta verso sé stessi. E cioè la passione. Nel suo originario significato, cioè “pati”, dal latino: soffrire, patire, attraversare.



Traversare la miseria del mondo, sì. Ma stando attaccati fermamente a qualcosa. Cercando qualcosa. Desiderandone ardentemente l’incontro. Non c’è più la gioia. Non ne parliamo più. Del mondo stiamo facendo un tempio vuoto senza più fiamma di preghiera, senza l’anelito verso alcuno splendore, quello che l’uomo da sempre attende che attraversi miracolosamente la sua strada. Manca il gesto del sedersi e pensare alla vita, come fanno gli innamorati. Immaginarla, sognarla mentre la viviamo.



Ecco, manca il tempo di sognare la vita. E di appassionarci a qualcosa, veramente. Le giornate si fanno sempre più di nebbia, il tempo si affastella, gli occhi assuefatti alla paura e la mente provata dal ritornello della morte non mettono più a fuoco ciò che per ognuno è sempre stato pregno di significato, ossia la ricerca della propria felicità.

E non è una bestemmia dirlo ora, nel fuoco di questo scempio, che si consuma a poca distanza da noi. È la forza più grande che possiamo evocare e cui aggrapparci. Un mondo senza più uomini che sognano la gioia non sarà niente altro che un lungo deserto di cemento e erba secca. Con o senza la guerra. Perché fuori dalla guerra ci dovrà essere una pace santa, animata, fatta di persone vive, non una palude di macerie e cuori spenti.



Se è vero che “si vive per amore di qualcosa che sta accadendo ora” (don L. Giussani). Se desideriamo la pace, lavoriamo perché la nostra mente sia fulgida, magnifica, presente. Innamorata. Torniamo ad accorgerci che il mondo esiste. E anche il cielo, la pianura bassa attraversata dai treni, il lavoro che ci affatica ma ci spinge avanti, la famiglia che resiste contro la discordia. L’amicizia. Pratichiamo la vita con ardore. Torniamo a dare ragione ai sensi che cercano un bene, quale che sia. Cerchiamo, ancora, l’insperato.

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