Luigi Busà, protagonista della Nazionale italiana di karate alle recenti Olimpiadi di Tokyo 2020, è intervenuto in qualità di ospite nel corso della trasmissione di Rai Uno “Oggi è un altro giorno”, condotta da Serena Bortone. In Giappone, quando è stato premiato con la medaglia a cinque cerchi, “mi volevano multare, ma l’inno dovevo cantarlo senza mascherina. Ho infranto le regole e i nipponici sono molto severi su questo, ma non potevo non intonare il nostro inno a squarciagola”.
Dopo l’oro olimpico “mi hanno chiamato tutti i miei familiari, ma io avevo lasciato il cellulare in borsa per fare l’antidoping e ho dovuto aspettare due ore per richiamarli. Per noi atleti azzurri, queste Olimpiadi rappresentavano una rivalsa per cose molto più gravi. Anche sfasare la preparazione l’anno scorso per via della pandemia ha rappresentato un momento molto complicato per noi”.
LUIGI BUSÀ: “DA PICCOLO MI BULLIZZAVANO PERCHÉ ERO SOVRAPPESO”
Da bambino Luigi Busà era sovrappeso e veniva bullizzato dalle altre persone che lo chiamavano ‘arancino’ in virtù dei chili di troppo: “Ho sofferto tanto per questa cosa, ancora oggi parlarne mi fa male”. In collegamento dalla Sicilia, precisamente da Avola, il padre Nello ha raccontato un retroscena sulla sua vita: “Io ho messo tutti sul tappeto di karate e mia moglie si è adeguata ai miei tempi e ai miei sport. Da piccolo, però, Luigi voleva fare calcio e per un certo periodo di tempo lo accompagnavo io agli allenamenti. Non l’ho mai costretto a fare il mio sport, ha poi scelto da solo la sua strada”.
Il campionissimo Luigi Busà ha sottolineato che “da ragazzino avevo paura di deludere mio padre, perché lui era il maestro Busà, un nome conosciuto in tutta la Sicilia. Tutti si attendevano grande cose da parte del figlio del maestro e io temevo di non essere alla sua altezza e di non centrare risultati che lo rendessero fiero. Ora, più dell’oro olimpico, non posso fare!”.