I fratelli Luigi e Aurelio Luciani, il 9 agosto 2017, stavano andando ai campi di San Marco in Lamis da coltivare che rappresentavano la loro vita. Onesti, lavoratori infaticabili, non pensavano che quel viaggio sarebbe stato l’ultimo, che ad ucciderli sarebbe stata la “quarta mafia“, o “Società foggiana”, come viene anche definita l’organizzazione criminale che negli ultimi anni ha seminato morte e terrore in Puglia, in particolare nel Gargano. Della storia di Luigi e Aurelio Luciani si occuperà questa sera il programma Cose Nostre, in onda su Rai Uno a partire dalle 22. Sarà dunque ricostruita la dinamica che ha portato due contadini che nulla avevano a che vedere con gli affari loschi dei mafiosi, a finire trucidati sotto i colpi di killer spietati. Difficile trovare una motivazione che vada oltre la frase spesso utilizzata in casi come questo: Luigi e Aurelio Luciani si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato. Niente di più, niente di meno. Se infatti quella mattina sulla Provinciale 26 che sbuca a Borgo Celano, tra San Giovanni Rotondo e San Marco in Lamis, non avessero incrociato la strada del boss Mario Luciano Romito oggi, con ogni probabilità, i due contadini starebbero vivendo le loro vite insieme alle proprie famiglie.
LUIGI E AURELIO LUCIANI: FRATELLI CONTADINI UCCISI DALLA QUARTA MAFIA
Uno scambio di persona: questo è ciò che è costato la vita a Luigi e Aurelio Luciani a San Marco in Lamis. I due, rispettivamente 47 e 43 anni, si sono trovati nel bel mezzo di un regolamento di conti: un commando era stato infatti incaricato di uccidere Mario Romito, il boss manfredoniano che alcune carte di un processo avevano svelato essere diventato nel frattempo un collaboratore della polizia. Cosa c’entravano i due fratelli contadini nella vicenda? Niente, molto semplicemente. Ma i killer che li hanno trovati per strada hanno pensato che Luigi e Aurelio si trovassero lì per scortare il loro obiettivo. E se Mario Romito moriva, di certo non potevano restare in vita testimoni potenzialmente scomodi. Questo devono aver pensato gli assassini della società foggiana, guidati – secondo gli inquirenti – dal basista Giovanni Caterino, ora imputato in un processo che non manca di riservare colpi di scena. I due fratelli, intuite le intenzioni del commando, hanno tentato di accelerare con il loro Fiorino bianco. Per Luigi non c’è stato niente da fare: morto nell’abitacolo per i colpi esplosi dai killer. L’agonia di Aurelio è stata più lunga: in fuga dal Fiorino, ha cercato la salvezza nei campi. Inseguito e acciuffato, per lui non c’è stato scampo. Morto ammazzato come il fratello Aurelio: due vittime di quel giorno di agosto a San Marco in Lamis che si aggiungono al boss Mario Romito e al cognato Matteo De Palma.
LUIGI E AURELIO LUCIANI: LE MOGLI CONTINUANO A COMBATTERE
Nessuno meglio di Arcangela Petrucci e Marianna Ciavarella, mogli di Luigi e Aurelio, può raccontare chi fossero i loro mariti uccisi dalla quarta mafia. Le due donne hanno ingaggiato una battaglia che ha trovato l’appoggio di Libera di don Ciotti: “Abbiamo talmente tollerato tutti che alla fine, con presunzione, i mafiosi ti entrano in casa senza che tu abbia il tempo di rendertene conto. Non bisogna fare finta di nulla quando si ammazzano tra di loro perché è un segnale d’allarme. Consapevolezza, questo ci vuole”. Al Fatto Quotidiano, Arcangela ha detto: “Oggi non tollero più neanche che qualcuno prenda una caramella senza chiedere il permesso, anche se ne ho centinaia. È così, partendo dalle piccole cose, che siamo arrivati a non avere più Luigi e Aurelio”. Emblematico del carattere del marito Luigi, c’è un vecchio aneddoto: “Una volta, era estate, tornò dalla campagna stanchissimo. C’era una mosca che ronzava attorno al tavolo mentre cenava. Provai a ucciderla perché la smettesse di infastidirlo, lui mi disse: ‘Lasciala stare, che ti frega’. Ecco, Luigi non era in grado di far male a una mosca”. Un onesto lavoratore, come Aurelio, ricorda la moglie Marianna: “Era testardo e riservato, chissà cosa penserebbe oggi se ci vedesse qui a parlare. E poi era preciso e ordinato. Posizionava le zucchine una accanto all’altra nella cassetta, non le buttava a casaccio come fanno in tanti. E nei mercati, quando andava a venderle, apprezzavano”. Morti per caso, per il solo fatto di essere stati puntuali al richiamo dei campi. O più che altro colpevoli di vivere in una terra funestata dalla mafia.