CHI ERA LUIGI EINAUDI
Nello Speciale Quirinale in onda questa sera su Canale 5 all’interno del programma “Viaggio nella grande bellezza” si torna indietro con le lancette della storia arrivando fino a Luigi Einaudi, il secondo Presidente della Repubblica e l’inquilino del Quirinale forse più liberale mai avuto nelle stanze dei corazzieri.
Uomo d’altri tempi (e non è un modo di dire), liberale per l’appunto ma anche fortemente radicato nella politica che pre-fascismo e proprio per questo ben conscio del dramma sociale e culturale che fu il Ventennio del Duce. Dopo i primi tre anni di “reggenza” De Nicola, Capo dello Stato viene nominato al quarto scrutinio nel maggio del 1948 e rimase al Quirinale – fu il primo vero inquilino dopo i Re Savoia in quanto De Nicola risiedeva a Palazzo Giustiniani: più volte “citato” in questi giorni di corsa sfrenata al Quirinale per il nuovo Presidente della Repubblica, Einaudi rappresenta la storia della repubblica italiana e con essa il tentativo, riuscito, di traghettare un Paese dalle macerie al vero “boom” economico che pone ancora oggi l’Italia nel G7 e tra i Paesi più benestanti al mondo.
ANEDDOTI E AFORISMI: IL PRESIDENTE LIBERALE
Luigi Einaudi, cattolico liberale per il quale molti tentarono di convincerlo sull’ipotesi di un mandato bis nel 1955, si spense a Roma il 30 ottobre 1961 nella clinica Sanatrix di Roma dopo 15 giorni di ricovero per insufficienza cardiovascolare. Fu esponente del pensiero liberista e federalista in Europa, convinto che la culturale liberale dovesse svilupparsi in ogni aspetto della vita politica, sociale e comunitaria, specie dopo il dramma della dittatura fascista e davanti all’insorgere del pensiero socialista-comunista. Nel focus di qualche giorno fa sul nostro quotidiano curato da Gianfranco Fabi, si fa però luce su un fatto spesso non considerato dai libri di storia sull’eredità politica di Einaudi: «Uno dei suoi libri più importanti è, per esempio, quello dedicato alle lezioni di politica sociale dove sono esaminati con attenzione e realismo i compiti dello Stato, ma insieme delle parti sociali in un’ottica di sussidiarietà». Un liberalismo figlio dell’etica di responsabilità è stato quello di Luigi Einaudi: «senso di appartenenza a una comunità nazionale, una patria, in cui devono sempre convivere diritti e doveri, in cui ognuno deve contribuire, con il proprio lavoro e con il proprio risparmio, alla crescita collettiva». Diversi gli aneddoti che vengono tramandati sul percorso politico e lo “spirito” anche molto umile del Presidente Einaudi: su tutti, quando un giovanissimo Giulio Andreotti lo convinse ad accettare la carica di Capo dello Stato, la risposta del politico liberale spiazzò, «Ma come farò, zoppo come sono, a passare in rivista i picchetti d’onore?». Ci riuscì eccome nonostante l’iconico bastone sempre appresso e alla fine divenne uno dei Presidenti più amati: stupiva, ma forse non troppo vista l’epoca che aveva vissuto prima di salire al Quirinale, la sua “parsimonia” e l’esser poco avvezzo allo sfarzo. Raccontava il grande infatti Ennio Flaiano, invitato a pranzo al Quirinale insieme alla redazione de Il Mondo di Mario Pannunzio, la volontà “risparmiatrice” del Presidente che era stato fino a qualche anno prima anche Governatore della Banca d’Italia: «giunti alla frutta, il Presidente vide, con sorpresa, che nell’enorme vassoio c’erano solo frutti molto grandi e chiese ai commensali: “Io prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che vuole dividerla con me?”».