In occasione della pubblicazione del suo libro ‘La scomparsa dei colori’ il politico ed ex senatore – nonché compagno della giornalista Bianca BerlinguerLuigi Manconi è tornato a parlare del suo lento e doloroso declino verso la cecità (al centro del racconto ora disponibile in tutte le librerie) sulle pagine del Corriere della Sera: proprio partendo dal libero ci tiene a precisare immediatamente che vuole essere un tentativo di dar voce ai circa “due milioni [di] ipovedenti” che vivono in Italia, un “narrare, senza la pretesa di insegnare – spiega Luigi Manconi -, come la mia esperienza tragica [può] comunque portare alla non disperazione“. 



Tornando indietro con la mente, Luigi Manconi ricorda che il suo è stato un “processo progressivo” che piano piano l’ha privato di parti consistenti della vista “fino alla cecità totale, circa un anno fa“, insegnandogli – tra dolore e frustrazione – come sfruttare delle riscoperte “risorse che non pensavo di possedere“; ma il tutto (purtroppo) accompagnato da una serie “enorme di rimpianti” perché il lento declino l’ha privato “della bellezza e della libertà” non potendo più “vedere i volti (..) delle persone care, i paesaggi, il mare” e non potendosela più cavare senza “affidarmi agli altri”.



Luigi Manconi: “La cecità mi causa tantissime paure, ma ho imparato ad adattarmi e superarle”

Nel frattempo – comunque – Luigi Manconi ci tiene a precisare che pur con fortissimi limiti, ha cercato sempre di portare avanti “il mio impegno pubblico e politico, anche dopo la fine dell’incarico da senatore”, senza nascondere “l’enorme fatica [e i] numerosi ostacoli” che ha dovuto – crede “con maggiore sensibilità e capacità di ascolto” – affrontare sempre a testa alta; così come rivendica di aver imparato di essere “più resistente di quello che non avessi immaginato” adattandosi alle sfide di una condizione che non è riuscita a privarlo di “una vita piena di incontri”.



Tuttavia, Luigi Manoni non vuole neppure nascondere le sue tantissime paure, tra cui spicca certamente quella “di farmi male” – ritenendo peraltro “miracoloso” il fatto di non essere mai caduto “in 15 anni di indebolimento” visivo – ma anche e forse soprattutto quella di “ferirmi la faccia, urtare [e] sbattere”.