Mons. Luigi Negri ci ha lasciato mentre in tutte le chiese si cantava il “Te Deum” di ringraziamento per l’anno trascorso, ancor pieno di fatiche e sofferenze per la pandemia, ma comunque vissuto nella compagnia fedele del Signore. Insieme al grande dolore, il primo sentimento che ho provato è stato quello di una immensa gratitudine per il dono dell’amicizia vissuta con don Negri in più di cinquant’anni, dal tempo del seminario.
“Una compagnia guidata al destino”: questa è l’amicizia cristiana nella definizione di don Giussani. E questa è stata l’esperienza di un rapporto iniziato tra le mura del seminario di Saronno e di Venegono e proseguito poi nelle vicende e nelle situazioni del ministero sacerdotale, vissuto in campi diversi, ma sempre accompagnato da una frequentazione ricca soprattutto di giudizio, nel continuo paragone tra l’incontro con Cristo e le circostanze presenti, in anni non facili e pieni di continue trasformazioni.
Dei cinque anni di seminario ricordo l’esperienza di preghiera e di studio: preparavamo insieme gli esami e naturalmente Negri usciva sempre con il massimo dei voti. Erano gli anni del primo post-concilio, pieni di apertura alla riforma della Chiesa, anche se segnati dalla tragica esperienza del terrorismo e del post-68.
Poi nel servizio sacerdotale ci siamo sostenuti nella fede e nella compagnia di Cl, accompagnati dalla guida preziosa di don Giussani, e nell’esperienza della fraternità sacerdotale “Card. Schuster”, una quarantina di preti, guidata per diversi anni da don Luigi, fino alla sua nomina episcopale nella diocesi di San Marino-Montefeltro.
Ogni quindici giorni la domenica sera dopo la recita dei Vespri, per tanti anni, come ancora oggi, ci siamo ritrovati con lui a dialogare in una reciproca testimonianza, a partire dai testi di don Giussani, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI o dei nostri vescovi ambrosiani, per un giudizio sulla situazione della Chiesa e del nostro paese, non astratto e intellettuale, ma profondamente teso ad animare il nostro servizio alla Chiesa milanese.
Da lui ho ricevuto, impegnato com’ero in oratorio e nella scuola, l’aiuto più significativo nel campo dell’educazione cristiana dei ragazzi e dei giovani. Non c’è educazione senza la comunicazione di una ipotesi culturale, la proposta di una visione del mondo e di un criterio di giudizio originale per affrontare le circostanze della vita. Quante volte l’ho sentito ripetere quella frase di Giovanni Paolo II, “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. E non si trattava di parole solo ripetute, ma di una testimonianza in atto nel giudizio intelligente e puntuale sulla realtà presente e sugli accadimenti personali o sociali. Per tanti anni mi è stato maestro negli incontri con gli insegnanti del Cle (Comunione e liberazione educatori), di cui era responsabile nazionale.
Nello scorso ottobre ha voluto essere presente all’incontro dell’arcivescovo mons. Delpini con i compagni della nostra classe di ordinazione nonostante le sue difficoltà a muoversi, e nel giorno del suo ottantesimo compleanno a casa sua con l’amico don Mario Garavaglia siamo riusciti ad avere ancora un breve dialogo sulla situazione della Chiesa e del mondo. Ci siamo lasciati con la recita dell’Angelus, affidandoci insieme alla protezione materna di Maria.
“Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”: certamente la Madonna gli è stata vicina nel momento del passaggio e preghiamo che lo accompagni nel posto che il Signore ha preparato per lui, vicino a sé, come ricompensa del suo servizio fedele alla Chiesa di Dio.
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