Nel primo anniversario della morte di mons. Luigi Negri (26 nov. 1941-31 dic. 2021), proprio nell’ultimo giorno dell’anno, giorno tradizionalmente dedicato al Te Deum, come già feci notare su queste pagine nella circostanza della sua salita al cielo, la prima parola che ritengo si debba evocare è la gratitudine. Ringraziare Dio per il dono grande che la sua persona è stata per la Chiesa, per il Movimento di Comunione e Liberazione e per la società intera. Dobbiamo essere grati non solo per l’incontro con lui, per i tanti che lo hanno conosciuto e per i molti che hanno tratto insegnamento dalle sue opere e dai suoi interventi pubblici, ma anche per la grande eredità che ci ha lasciato.
Eredità significa anche responsabilità, ovvero il non lasciare cadere il suo proficuo magistero maturato e sviluppato nel corso del tempo intorno alla fede, alla cultura, alla dottrina sociale, alla teologia, alla filosofia e alla storia. In linea con il suo temperamento – tanto che spesso durante gli incontri pubblici, quando veniva presentato con eccessiva enfasi, era solito fermare l’interlocutore ricordando che era ancora vivo e non era il caso di esagerare con i panegirici – le poche righe che seguono vogliono cercare di farne memoria con un’attenzione rivolta più al presente che al passato. Penso si debbano evitare tanto gli eccessi di carattere nostalgico, quanto un oblio che sarebbe, oltre che segno di ingratitudine, anche indice di una dimenticanza che porterebbe progressivamente alla perdita del suo insegnamento.
Non intendo qui inoltrarmi nelle tematiche culturali, teologiche, filosofiche e storiche da lui approfondite a vario livello e in modo sempre molto chiaro, quanto provare a svolgere alcune osservazioni sul metodo alla base del suo magistero, perché ritengo che esse possano essere utili e possano aiutare a cogliere alcuni dei tratti distintivi e originali della sua personalità, sebbene certamente non esaurirli. Tali osservazioni possono inoltre contribuire a spiegare, insieme ovviamente alle sue doti di comunicatore, la particolare attenzione e la notevole disposizione a esporre le questioni e i nodi culturali, anche quelli molto complessi, in modo da essere comprensibili anche ai non addetti ai lavori, con un’evidente finalità educativa che lo rendeva capace come pochi altri di parlare al popolo.
Prima osservazione. La riflessione intellettuale è sempre stata originata in lui dall’esperienza della fede vissuta nell’appartenenza alla Chiesa, alla comunità cristiana, entro la quale, come egli non si stancava mai di ricordare, la dimensione della cultura non deve essere trascurata. Fin dalle aule del Berchet, dove incontrò don Luigi Giussani, suo padre e maestro nella fede, tale prospettiva ha cominciato a farsi strada nella sua vita, come egli ha ricordato nel suo volume Con Giussani. La storia e il presente di un incontro (Ares, 2021): “La cultura era per noi l’esperienza del cambiamento della nostra vita, perché cambiava il giudizio su di noi e sulla realtà e rendeva entusiasmanti, anche se faticosi, il dialogo e il confronto con tutte le posizioni umane e culturali. Non era neppure immaginabile per noi non sottoporre i contenuti dell’insegnamento a una revisione critica dal punto di vista della fede, in quanto avevamo la consapevolezza che la fede era in grado di leggere con una profondità nuova e definitiva ogni vicenda e ogni problema”.
Egli stesso ha ribadito più volte come questo criterio lo abbia mosso, ad esempio, nelle sue indagini di carattere storico portandolo a maturare una ben precisa convinzione: “Per una comprensione adeguata della storia della Chiesa, per assumere una prospettiva non viziata da pregiudizi, occorre partire dalla nostra esperienza di Chiesa. Questo è metodologicamente il punto fondamentale su cui, ormai da numerosi anni, senza trascurare gli altri problemi di carattere storiografico che possono essere sorti a riguardo delle diverse situazioni, ho cercato di impostare i miei studi e le mie riflessioni” (Luigi Negri, Il cammino della Chiesa. Fondamenti, storia e problemi, Ares, 2015).
Quindi, per mons. Negri, la fede e l’appartenenza al popolo vivo che è la Chiesa rendono possibile un’ermeneutica “più oggettiva”, diversamente da quello che viene di solito affermato, delle vicende culturali e storiche, senza escludere la serietà degli studi e la tensione a cercare di abbracciare la totalità dei fattori in gioco. Ma è vero anche il contrario: l’approfondimento delle vicende storiche e culturali permette di maturare una consapevolezza maggiore della fede: “Trattando la storia della Chiesa, i cristiani operano uno svolgimento culturale della propria esperienza cristiana. La storia della Chiesa non è innanzitutto un problema di specialisti, ma è la storia di una comunità che si auto-comprende. La comunità, proprio perché è inserita nel vivo di una tradizione e di una storia, non può auto-comprendersi se non rifacendosi alla stessa storia da cui nasce” (Luigi Negri, Il cammino della Chiesa, cit.).
È proprio questa convinzione che lo ha portato a tenere incontri e conferenze su tematiche storiche, ma anche filosofiche e letterarie, non certo il desiderio di riconoscimenti accademici o ecclesiastici. Si tratta, dunque, di una prospettiva in ultima istanza di carattere missionario ed educativo: testimoniare e favorire il più possibile nelle varie comunità che incontrava un’autentica consapevolezza dell’essere Chiesa. È questo stesso impeto che lo ha spinto, da arcivescovo di Ferrara, a tenere un ciclo di incontri dedicati ai Promessi sposi, riuscendo tra l’altro a coinvolgere migliaia di persone tra le quali molti giovani, con la finalità di mostrare come i Promessi sposi siano “uno specchio dell’epopea del popolo cristiano a cui ciascuno è chiamato a partecipare da reale protagonista” (Luigi Negri, I Promessi sposi nostri contemporanei, Mimep-docete, 2014).
Seconda osservazione. Da dove nasce l’originalità e la capacità di lettura delle vicende culturali e storiche da parte del cristiano? Negri ha più volte richiamato, a questo riguardo, il suo altro grande maestro oltre a Giussani, san Giovanni Paolo II. In particolare un passaggio di un discorso tenuto all’inizio del suo pontificato proprio davanti agli studenti dell’Università Cattolica presso la quale allora don Negri insegnava: “Siccome l’infinita trascendenza di questo Dio, che qualcuno ha indicato come il ‘totalmente altro’, si è avvicinata a noi in Gesù Cristo fattosi carne per essere totalmente partecipe della nostra storia, bisogna allora concludere che la fede cristiana abilita noi credenti ad interpretare, meglio di qualsiasi altro, le istanze più profonde dell’essere umano e ad indicare con serena e tranquilla sicurezza le vie ed i mezzi di un pieno appagamento” (Giovanni Paolo II, Agli studenti dell’Università Cattolica, 8 dicembre 1978).
Affermazioni ritenute da Negri davvero centrali, tanto che hanno accompagnato tutta la sua attività di studioso ed educatore, nonché di sacerdote e di vescovo, come si può capire meglio attraverso il suo commento: “Questa è la cultura che nasce dalla fede, un modo di impostare i problemi della vita secondo un punto di vista così radicale che l’uomo desidera, ma non riesce a raggiungere con le sue sole forze. La fede diventa cultura quando diventa criterio di giudizio, quando si assume per giudicare il punto di vista di Cristo. Giovanni Paolo II parlando di fede come cultura ha voluto indicare la necessità di maturare una mens, un modo di giudicare in cui si perviene ad un orizzonte capace di dare valore ai particolari. La cultura cristiana non può e non deve mancare, perché solo la verità di Cristo, custodita ed insegnata in modo autentico dal magistero della Chiesa, è capace di illuminare pienamente l’esperienza umana, permettendo così di conoscerla a fondo. Anche chi non ha fede, se non è prevenuto, non può non riconoscere che il contributo della cultura cattolica alla comprensione dell’uomo ha arricchito in modo inestimabile la conoscenza comune” (Luigi Negri, L’insegnamento di Giovanni Paolo II, Jaca Book, 2005).
Infine un’ultima osservazione: non si può dimenticare che il suo intero magistero si è sviluppato sempre in un continuo dialogo con quello dei suoi maestri, oltre ai già citati Giussani e Giovanni Paolo II, sicuramente anche Benedetto XVI, e con quello di altri grandi pensatori del passato – tra i tanti è possibile citare Romano Guardini –, costituendosi proprio come una sistematica ripresa e un ininterrotto sviluppo di esso.
In conclusione credo davvero che, per le ragioni che ho brevemente illustrato, alle quali molte altre se ne possono aggiungere, quello di mons. Luigi Negri sia un magistero vivo, nato dalla tensione a vivere la fede autenticamente e a testimoniarla in modo missionario a tutti. Un magistero che può continuare ad essere vivo nella misura in cui ce ne facciamo carico.
È a questo scopo che è in via di costituzione, e presto sarà operativa, l’Associazione culturale “Tu Fortitudo Mea” (nome che deriva dal suo motto episcopale) che si prefigge appunto di custodire e promuovere la conoscenza della persona e dell’operato di mons. Negri, una personalità particolarmente significativa per la Chiesa, per il Movimento di CL e per la vita culturale e sociale della nostra epoca.
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