“Ogni età della Chiesa ha una sua dottrina sociale, perché la dottrina sociale è la capacità che la fede ha di investire le circostanze della vita, le circostanze sociali e politiche”. Si pensi per esempio a sant’Ambrogio, “che ferma il cristianissimo imperatore Teodosio sulla porta della Basilica e lo scomunica”, per difendere “i diritti di Dio contro i diritti di uno Stato assoluto”, perché quell’uomo è sì un grande imperatore, ma “sotto il Cielo”, e il vescovo di Milano difende “i diritti del Cielo”. Così argomenta monsignor Luigi Negri in un intervento del 2007 per la Fondazione internazionale Giovanni Paolo II, poi pubblicato nella raccolta La dottrina sociale: una sfida alla modernità (Il Cerchio, Rimini). Ma, aggiunge, se è vero che “non c’è età della Chiesa senza dottrina sociale”, in senso specifico quando ci riferiamo alla Dottrina sociale cristiana “siamo stati abituati a pensarla” come espressione del più recente Magistero, della “missione della Chiesa in questi ultimi due secoli”. Nata “all’interno di uno dei momenti più drammatici” della sua storia – “l’incontro-scontro con la modernità” – la Dottrina sociale della Chiesa si sviluppa a partire dall’enciclica Mirari vos (15 agosto 1832) di Gregorio XVI, “in qualche modo costretto a prendere atto della radicale mutazione antropologica, sociale e politica rappresentata da quella frattura radicale della tradizione che ha operato la Rivoluzione francese”.



La Dottrina sociale cristiana si trova ad operare “in una situazione completamente diversa da quella in cui la Chiesa aveva vissuto per secoli”. Per Paolo VI, nell’omelia conclusiva del Concilio Vaticano II, “il mondo moderno ha sfidato la Chiesa con una sfida assolutamente radicale: la religione dell’uomo che si è fatto Dio”. Infatti “l’uomo moderno pensa a un mondo che si realizza senza nessun riferimento alla sfera religiosa, prescinde da qualsiasi riferimento religioso e quindi sorpassa qualsiasi tradizione religiosa”. La Chiesa, di fronte a una visione che nega e combatte Dio, ha un altro progetto, che si è manifestato prima prendendo le distanze, poi affermando che “esiste una proposta positiva alternativa” e infine prendendosi “la responsabilità di mostrare” come il progetto ateistico – costruito sulla pretesa di sentirsi definiti dal proprio potere e sostenuti da un dilagante “totalitarismo culturale” – è in realtà “destinato a fallire”.



Ma le osservazioni di monsignor Negri sono ancora valide? Come possono essere attualizzate oggi? A queste domande vuole dar risposta il convegno che si tiene a Milano domani, sabato 26 ottobre, alle 15, nella cripta dell’Aula Magna dell’Università Cattolica, con gli interventi del cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo metropolita di Utrecht, primate della Chiesa d’Olanda, e di Sante Maletta, docente di filosofia della politica all’Università di Bergamo.

Il titolo del convegno è Una via per costruire il bene comune. La dottrina sociale della Chiesa alla luce del contributo di monsignor Luigi Negri. “Certamente la dottrina sociale è costituita da quell’insieme di princìpi e teorie che la Chiesa, con importanti prese di posizione, ha raccolto in numerose encicliche e documenti”, ha sottolineato Giulio Luporini, presidente dell’Associazione culturale “Tu fortitudo mea”, che ha promosso l’evento, “tuttavia Negri ha ritenuto sempre essenziale evidenziare come questa ‘dottrina’ sia nata e nasca dall’esperienza di vita del popolo cristiano, contribuendo a sua volta a illuminarla, secondo una circolarità estremamente positiva, dimenticare la quale significherebbe rischiare di ridurre lo stesso Magistero sociale a ideologia”. Infatti, per lui “il Magistero ha sempre illuminato l’agire cristiano, ma la pratica del popolo cristiano contribuisce ad approfondire e a concretizzare l’insegnamento nella vita quotidiana, non smettendo mai di stimolare il Magistero ad aprire nuovi ambiti di riflessione”, quanto mai necessari. A riguardo dell’importanza dell’attenzione alla dimensione sociale e politica, Negri così si esprimeva: “La Chiesa non può prescindere da questi aspetti, sia per evitare di essere assoggettata o cancellata dal potere politico, difendendo in questo modo la propria libertà, sia per annunciare in modo efficace la verità di Cristo all’uomo del suo tempo”.



Ancora nel suo intervento del 2007, Negri invitava a distinguere tra la democrazia, che è solo “una procedura, delle regole che, in quanto applicate, conferirebbero valore alla vita sociale” (ma attenzione, “i grandi sistemi totalitari sono andati tutti al potere vincendo le elezioni, democraticamente”), e il fatto che l’uomo ultimamente “è alla ricerca della Verità” e che, quindi, “tutta la sua vita personale e sociale” non può essere organizzata “in modo assoluto” da uno Stato padrone (o da organismi sovranazionali totalizzanti), ma invece “va pensata in rapporto con questa domanda religiosa, con questa domanda di senso, di verità, di bene, di bello, di giusto”, come dice sant’Agostino. La preoccupazione di Gregorio XVI e del suo successore Pio IX di fronte al potere del loro tempo, sia che fosse incarnato da Napoleone che dai carbonari, era questa: sui fondamenti non ci siamo, lo Stato moderno ha un fondamento che noi non condividiamo. Voi dovete rispettare il nostro fondamento anche se non lo condividete. L’obiezione radicale della Chiesa a lungo “ha tenuta aperta in Europa la differenza. Si poteva essere atei, e si poteva essere anche cristiani praticanti; nessuno poteva impedire una posizione opposta alla propria”. Poi qualcosa è cambiato. In peggio. Oggi il totalitarismo sempre più invadente in ogni campo, persino nel linguaggio, va “nella direzione di negare qualsiasi differenza e quindi di uniformare tutto, omologare tutto”.

Negri ci ha fatto comprendere, proprio attraverso la sua capacità di rileggere le vicende storiche, che la Chiesa, ieri come oggi, con il suo insegnamento sociale si è sempre battuta per evitare che la persona si riducesse a “particella di materia o cittadino anonimo della città umana”, secondo un’espressione del Concilio, da lui citata tante volte. Ma c’è un rischio, messo in evidenza nel 2017 in un incontro organizzato a Torino da Federvita Piemonte e Val d’Aosta, sul tema dei princìpi non negoziabili. Se la fede è “l’affermazione della presenza di una vita nuova che il Signore Gesù Cristo, che l’ha sperimentata in prima persona e in pienezza, dona a tutti quelli che credono in Lui”, non può essere ridotta a “una serie di formulazioni ideologiche”, che di fatto approdano al ritorno di un modernismo che “parla dalle cattedre delle facoltà teologiche”. Così, per tanta parte del mondo cattolico, “il mondo va bene così com’è, non deve essere giudicato e trasformato”. Al più “va sostenuto e aiutato nei bisogni sostanzialmente materiali, psicologici, affettivi, culturali”. È uno scenario che abbiamo davanti tutti i giorni. Ma le donne e gli uomini del nostro tempo, in prima fila i giovani, più che di assistenza hanno bisogno di una vita nuova, “hanno bisogno di Gesù Cristo”. Se non lo annunciamo, svuotiamo completamente il Vangelo. “Se la Chiesa rinuncia all’evangelizzazione, tradisce Dio”.

“Tra i tanti meriti di Negri”, conclude Luporini, “c’è quello di avere favorito la ripresa della Dottrina sociale della Chiesa come uno dei modi fondamentali della sua missione. Proprio perché cerca di mettere a fuoco le dinamiche sociali in cui viviamo, denunciando e correggendo le riduzioni ideologiche, la Dottrina sociale della Chiesa aiuta il cristiano a concepirsi secondo un’antropologia che aiuti anche i non cristiani a vivere l’esperienza della famiglia, del lavoro, dei rapporti sociali e politici, secondo una prospettiva che affermi il valore assoluto della persona, offrendo così un contributo prezioso alla costruzione del bene comune, di una società dal volto umano”.

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