Sono arrivate le tracce del ministero dell’istruzione per la prima prova della Maturità 2024 di un tema nella Tipologia A2, ovvero l’Analisi del testo di Luigi Pirandello, con un breve spunto tratto dai “Quaderni di Serafino Gubbio operatore“: di seguito trovate una proposta di traccia svolta, a cura di Salvatore Valori per contro de IlSussidiario.net.
COMPRENSIONE E ANALISI – TRACCIA SVOLTA TIPOLOGIA A2 MATURITÀ 2024
Serafino Gubbio, destinato ad essere “una mano che gira una manovella” per vivere, è il protagonista del brano (e di tutto il romanzo). L’alienazione vissuta da Serafino viene espressa con una serie di provocazioni laceranti: quanto in là può andare la sete di progresso? È questo il tema. La macchina, da essere uno strumento creato per sfamare l’uomo, diventa l’essere da sfamare. Il problema è che la macchina non si sfama solo con la benzina: ha bisogno di persone che dedichino ad essa il loro tempo e la loro anima. “L’uomo […], buttati via i sentimenti […], s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse”: la vita è “meccanizzata” in quanto i sentimenti, l’anima, le contrazioni del cuore non esistono più, ma vengono dati in pasto alla macchina, che ne ha bisogno per essere al massimo della sua efficienza.
La questione diventa chiara con le terribili (in senso etimologico) domande di Serafino, che scandiscono il tono diretto e provocatorio di tutto il brano: “Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?”. Cosa si è disposti a fare per un voto in più, per cinquanta euro in più, per un po’ di “ferro” e “acciajo” in più? Di fronte a una domanda del genere sembra chiaro e certo che il progresso, così come è stato inteso dai positivisti, “È per forza il trionfo della stupidità”: Serafino fa notare che l’anima che “si dà in pasto” alla macchina non ritorna indietro, o meglio ritorna indietro sotto forma di “scatolette della nostra vita”, di finte e passeggere soddisfazioni. Risulta allora facile gustare la nota agrodolce del finale: “Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io”. Quando e quanto diventerà esplicita l’ironia dell’uomo che si annulla di fronte a qualcosa che esso stesso ha creato?
INTERPRETAZIONE – TRACCIA SVOLTA PRIMA PROVA A2: LUIGI PIRANDELLO
Non bisogna fare l’errore di pensare che le parole di Pirandello si riferiscano a tempi ormai passati, o, ancora peggio, quello di usarle per dire che “queste intelligenze artificiali ci faranno estinguere”. Serafino Gubbio non critica il progresso scientifico, ma un atteggiamento che gli scienziati, i filosofi, i genitori e i loro figli, i contadini da Courmayeur a Santa Maria di Leuca hanno tutti in comune: il “buttare via i sentimenti” in nome del tangibile, di ciò che si può vedere e produrre. Concretizzando: dove trovano posto i sentimenti quando si studia per il compito di matematica? Dove trova posto l’anima quando si fa un colloquio di lavoro? L’anima non trova posto ormai neanche quando si legge Leopardi, perché dietro a ogni parola c’è un voto: lo studio, il lavoro, la vita sociale, la relazione di coppia, il “benessere”, la bellezza di una persona… sono tutte cose da contabilizzare e il sentimento di una persona rispetto a queste non può entrare nel conto, perché non produce niente di tangibile. Non c’è da meravigliarsi se poi non sappiamo riconoscerli, i sentimenti: l’alessitimia (il cui significato etimologico è “assenza di parole per le emozioni”) è un tratto di personalità che si può notare essere dominante in chi soffre, ad esempio, di disturbi del comportamento alimentare. Essere alessitimici significa dire: “Oggi sto giù” e non saper rispondere alla domanda: “Ma cosa intendi?”, perché in realtà non si sa cosa ci sia più in fondo. In un mondo in cui se sei triste sei meno produttivo – e quindi meno utile – provare qualcosa ed esprimerlo è un grande rischio: “Dai, ti porto a bere e ti riprendi”, così la tristezza viene soffocata e non la si riconosce più.
Cosa ci resta, allora? Restano le “scatoline della nostra vita”, che provvedono a farci sentire soddisfatti di aver gettato via i sentimenti perché “almeno qualcosa che posso vedere ce l’ho”. Nella prima lezione dell’Introduzione alla psicoanalisi, Freud diceva: “I parenti incolti dei nostri pazienti – i quali vengono impressionati solo da ciò che è visibile e tangibile, […] – non perdono occasione di esprimere i propri dubbi che ‘si possa fare qualcosa contro la malattia solo parlando’. […] Quelle stesse persone sono altrettanto sicure che ‘i malati s’immaginano semplicemente’ i loro sintomi”. Aver gettato l’anima e il tempo nel nome delle scatolette fa vedere solo quelle e pensare che non esista nient’altro. Serafino provoca: “Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro, non più dentro ma fuori, ce ne fa, che – Dio, vedete quante scatole, scatolette, scatolone, scatoline? – non sappiamo più dove mettere i piedi, come muovere un passo”: se qualcosa non è una scatola non esiste, perché non trova spazio da nessuna parte. Ma, come diceva sempre Freud, “Questo è naturalmente un modo di pensare ottuso e incoerente”, dato che è frutto di una cecità.
Come si fa, però, a spiegare questa cosa a chi crede che tutte le conoscenze utili sulle persone si possano ottenere con una risonanza magnetica e un test attitudinale? Forse bisognerebbe regalare un romanzo di Pirandello a qualche psichiatra e neuropsicologo. È straziante vedere che tutti gli aspetti della nostra vita – lo studio, il lavoro, la musica, la psicologia (che dovrebbe indagare la “psiche” e gli aspetti più profondi della mente), la socialità, l’amore e altri – sacrificano l’anima in nome delle scatolette. Allora non posso fare altro che autocitarmi e porre ancora una volta la domanda: quando e quanto diventerà esplicita l’ironia dell’uomo che si annulla di fronte a qualcosa che esso stesso ha creato?