La Cisl non seguirà la Cgil in piazza contro il governo. Luigi Sbarra ha preso le distanze dagli intenti di Maurizio Landini, considerando questa come la “stagione giusta per imprimere una svolta sulle relazioni sociali e industriali in senso partecipativo”. Per il 63enne bisogna uscire dal modello antagonistico del Novecento, ponendo l’accento sulla grande sfida lanciata: “Partecipare è la via di una comunità più unita, capace di aumentare la motivazione dei lavoratori e la qualità delle produzioni”. Una cosa è certa, ha evidenziato Sbarra, la Cisl non aderirà mai a scioperi annunciati da altri: “A Landini dico che bisognerebbe costruire, unitariamente ed in autonomia dalla politica, un’area sindacale riformista che ambisca a guidare il cambiamento attraverso una proposta seria, concreta, con cui incalzare e sfidare governo e imprese su un nuovo patto sociale. La Cgil è disposta a lavorare seriamente su questa prospettiva? Oggi il tema è come far ripartire investimenti e riforme, rilanciare il potere d’acquisto delle fasce medie e popolari”.



Il punto di Luigi Sbarra

Uno dei temi più divisivi è il salario minimo, Sbarra ha evidenziato che fino a sei mesi fa il sindacato confederale italiano si esprimeva unito contro il salario minimo legale e a difesa dell’autorità salariale contrattuale: “Noi siamo rimasti sulla stessa linea, altri no, ed è a loro che bisognerebbe chiedere perché. Nel merito: come sostiene non solo il Cnel, ma anche l’Europa, in un Paese come il nostro, dove le relazioni industriali coprono il 97% dei settori, le soluzioni vanno trovate nella buona contrattazione collettiva”. Sbarra si è poi soffermato sul dibattito a proposito della transizione verde e ha messo i puntini sulle i: “La transizione può essere una grande opportunità di crescita, ma perché questo accada non può ricadere sulle spalle dei lavoratori. Bisogna essere pragmatici, mettere in campo scelte concrete, partecipate dal sindacato, senza cadere nel mito devastante della decrescita felice. La debolezza del nostro sistema industriale di fronte a questa grande sfida è sotto gli occhi di tutti. Servono capitali pubblici e leve di sviluppo che stimolino e accelerino le reindustrializzazioni, insieme a un massiccio investimento sulla formazione e le competenze del lavoro da aggiornare alle nuove tecnologie. Un processo da seguire tutelando l’occupazione dei 400.000 lavoratori dei settori cosiddetti “hard to abate”(a più alta intensità energetica, ndr)”.

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