Si continua a discutere la questione salariale in Italia. Il Cnel ha bocciato il salario minimo preferendo ancora “la via tradizionale” della contrattazione collettiva. Si infatti sostiene che “la mera introduzione di un salario minimo legale non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la pratica del dumping contrattuale né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”. Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, ne ha parlato su Avvenire: “In Italia c’è una bruciante questione salariale che occorre affrontare rilanciando crescita e investimenti, qualità e stabilità del lavoro , produttività e coesione sociale. Serve ragionare su lavoro povero e salario dignitoso. Il Cnel ha compiuto un’operazione verità, dando basi solide di riferimento circa la necessità di tenere queste dinamiche ben ancorate alla contrattazione”.



La Cisl condivide l’impostazione del Cnel: “Nel documento si afferma quello che la Cisl dice da sempre: per rispondere al problema bisogna valorizzare, sviluppare, innovare le buone relazioni sindacali e contrattuali, che coprono nel nostro paese il 97% delle attività. La sfida è prendere a riferimento i contratti maggiormente diffusi e prevalenti e di estenderli, settore per settore, ai pochi spazi ancora non raggiunti o schiacciati dagli accordi pirata. Una paga oraria di Stato rischierebbe di essere una toppa peggiore del buco” ha spiegato Sbarra.



Sbarra: “Autorità salariale deve restare alla contrattazione”

La situazione in Italia è differente dal resto d’Europa. Come spiegato da Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, “in Germania la contrattazione collettiva copre a malapena il 60% dei comparti, ben al di sotto dell’Italia. Applicare quel modello al nostro sistema comporterebbe, nella fascia media, il rallentamento degli adeguamenti salariali e l’uscita di molte aziende dai contratti nazionali di lavoro. Quanto alle fasce deboli, rischieremmo l’impennata del lavoro nero e grigio. In un Paese come il nostro l’autorità salariale deve restare alla contrattazione. Questo dice anche l’Europa”.



Si tratta dunque dell’unica via possibile secondo Sbarra “e non per gelosia delle parti sociali, ma perché non esiste via più efficace, dinamica, adattiva, generativa e direi anche democratica per fissare retribuzioni adeguate, connetterle a obiettivi di produttività, alle specificità aziendali, territoriali e di comparto, rendendole coerenti con l’articolo 36 della Costituzione. Ben oltre le rigidità della legge, la discrezionalità della politica e le incertezze della giurisprudenza. Il vero problema è obbligare le aziende a rinnovare i contratti alla scadenza, anche introducendo sistemi di premialità e sanzione. Se alcuni settori faticano ad arrivare a soglie congrue è perché registrano ritardi rilevantissimi nei rinnovi, fino a 12 anni. Evidente, che in queste condizioni i minimi tabellari d’ingresso sono estremamente bassi”.