Se uno squarcio sulle Olimpiadi di Berlino 1936 vale più di cento trattati per capire quale fosse l’humus culturale del nazismo, un moderno sociologo potrebbe fiutare l’aria che tira ai nostri giorni spulciando le decisioni del giudice sportivo della serie A di calcio italiana. Da come sanzionare i cori offensivi allo stadio fino al tenero scambio di effusioni verbali tra Lukaku e Ibrahimovic, la casuistica è gustosa e apre uno spaccato sulla qualità dell’etica imposta dal ‘politicamente corretto’. Come è noto, il Decalogo di Mosè ormai è stato da tempo rottamato e il potere applica di volta in volta il “suo” Decalogo, fluttuante a secondo degli interessi di turno. Così abbiamo imparato che c’è una peculiare classificazione dell’insulto. Ai tempi in cui era ammesso il pubblico allo stadio, cori razzisti o di discriminazione territoriale tipo “forza Vesuvio”, “giallorossi ebrei” o insulti ai giocatori tipo “buuuu” o “negro di m….” bastavano (giustamente) per interrompere una partita, squalificare una curva o chiudere uno stadio.
Se invece si udivano offese pesanti alla mamma o alla moglie di un giocatore-allenatore-arbitro o minacce di morte “devi morire!” gridate da diecimila persone queste frasi non trovavano posto nel taccuino dello zelante segnalatore della Lega calcio posizionato a bordo campo. A parte il fatto che uno – toccato negli affetti familiari -può sentirsi offeso e umiliato più che non per i riferimenti al colore della sua pelle, è ormai stato stabilito dai padroni del vapore che sui campi di calcio professionistico (ma non solo) un insulto razzista va punito con la massima severità, mentre minacce di morte e offese ai familiari sono considerate routine e dunque trascurabili.
La stessa ragione che ha portato fiumi di inchiostro e un supplemento di indagini da parte della Procura federale sul diverbio Lukaku-Ibrahimovic. Se i due bambinoni si fossero limitati al “ti sparo in testa” o a “stupido somaro” e alle offese a madri e mogli (frasi effettivamente dette) nessuno si sarebbe sognato di aprire un’inchiesta, ma quel “vai a fare il voodoo!” eh no, non si poteva lasciar passare: era razzismo? Poi per non far torto a nessuno hanno finto di interessarsi anche al “ti sparo in testa”, che senza il voodoo non avrebbe fatto notizia. Così come capitò a Sarri: se avesse detto in quel Napoli-Inter a Mancini “Ti faccio sparare” o “figlio di p……” la cosa sarebbe passata in carrozza o al massimo registrata come atteggiamento genericamente offensivo del tecnico partenopeo, ma ebbe l’incauta idea di chiamare “finocchio” il collega e allora fu tirato in ballo il razzismo omofobo e la cosa si fece seria.
E’ tanto difficile smetterla con questa assurda e patetica forma di discriminazione tra le offese e stabilire che QUALSIASI insulto alla dignità umana o minaccia va sanzionata punto? A quanto pare sì. Anzi registriamo la prossima frontiera: gli stessi che chiedono inflessibilità sulle frasi razziste protestano ora per il deferimento di Buffon a causa delle sue bestemmie: ”Non bisogna affidare all’arbitro il compito di segnalare la blasfemia, in fondo il concetto di sacro è ormai una opinione personale”. Un po’ come la moralità di madri, mogli e fidanzate insomma…
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