Se The Lumineers sono maestri in qualcosa, è invitarci a entrare nel misterioso mondo che è dentro di noi. E se questo mondo interiore sembra estraneo, questa band lo fa rapidamente sembrare familiare, comodo come una vecchia giacca di pelle calda: danno suono alla speranza, alla miseria, all’oscurità, alla luce, al dolore, alla solitudine, alla misericordia e al coraggio che la vita richiede.



Il loro nuovo album, “III”, di una delle band folk-rock americane più famose al mondo di stanza a Denver, in Colorado, è accompagnato da una serie di video musicali che ci parlano della storia di tre generazioni di una famiglia, della natura tragicamente ciclica delle ferite e della dipendenza, e per questo è forse il più rischioso e personale dei loro album. Il cantante Wes Schultz e il batterista Jeremiah Fraites sono stati entrambi profondamente colpiti da storie di dipendenza da droga e alcol. Schultz ha spiegato che i personaggi del film sono ispirati a familiari e amici e che Fraites ha tragicamente perso il fratello – un caro amico anche di Schultz – a causa di un’overdose di eroina quando erano adolescenti.



Guardare questo film diviso in 10 parti su YouTube è un’esperienza che fa riflettere, e lo shock per la vulnerabilità che viene messa in mostra, del dolore e della fatica della famiglia protagonista viene rapidamente superato dalla simpatia suscitata dai protagonisti e dalle loro storie individuali, come se avessimo il privilegio di assistere dalla prospettiva di Dio. Ciò non toglie la realtà del male che si tramanda per generazioni e le sue conseguenze, come chiarisce il film, eppure il coinvolgimento che proviamo finisce per farci sentire vicini a quei personaggi.

Tu odi il nome di Junior /
Tuo marito adorava i suoi computer /
Tua madre non è mai stata una /
Il maggiore di sette figli /



(…)

E non ti biasimo per il modo in cui vivi /
Il bambino è nato a febbraio /
Non potresti essere sobrio abbastanza da alzare un bambino” (Donna)

Ascoltare la musica senza le immagini non sorprende che porti a un’esperienza molto diversa e più personale. Come al solito, quasi tutte le canzoni dei Lumineers sembrano scritte appositamente per te, e le canzoni si riempiono rapidamente del tuo mondo personale: la tua giornata, il tuo amante, il tuo dolore, la tua lotta quotidiana, il tuo frammento di speranza… e la delicata richiesta di prendere coscienza di tutto ciò. Nella classica forma dei Lumineers, la stessa canzone può essere canticchiata pensando a una persona che ami o a quella con cui hai rotto e che adesso odi. Ci si sente a proprio agio sia che si pensi all’amore che al dolore. Forse di più al dolore.

“Innamorarsi è meraviglioso /
Innamorarsi è una esperienza solitaria /
La mia cella/
La mia piccola graziosa cella /
Finestre dipinte lì per me /
Finestre dipinte in modo che io possa vedere” (My Cell)

I Lumineers hanno in qualche modo creato nuove canzoni e testi freschi e profondi, rimanendo in linea con la loro originalità. Non si sono venduti o hanno cercato di reinventarsi, ma sono ancora sulla stessa strada: cantare ciò che è più vero in loro. Quei gemiti epici che sanno esprimere – specialmente se li senti in uno spettacolo dal vivo – sono sempre gli stessi, senza ostacoli, se ne fregano di ogni forma di “correttezza politica”, testi così ricchi di ogni dolore che abbiamo. Sia oscuri che chiari.

“E se te ne vai, non lasciarmi tutto solo /
Perché avrò paura, sarò nudo, prenderò freddo /
E mi mancano mio padre e Cleopatra seduti al telefono /
Quindi portami via da queste strade e non saremo mai separati / […]
Mai, mai tornare indietro da solo /
E se il sole non splende su di me oggi /
E se le metropolitane si allagano e i ponti si rompono /
Ti sdraierai e scaverai la tua tomba? /
O ti allenerai contro la tua morte?” (Life In the City)

Dice Schultz: “Vivere insieme un concerto o ascoltare qualcuno dire qualcosa che pensavi solo di provare, penso che sia per questo che è una esperienza positiva, anche se sembra contraddittorio che la musica dolorosa possa accadere quando le persone esultano più forte”.
Alla fine di questa storia, tre brani “bonus”, tra cui una splendida ripresa del pezzo di Leonard Cohen, Democracy.