La Coppa America di vela, una delle competizioni sportive più affascinanti e famose al mondo, si è conclusa con la terza vittoria in sette anni di Team New Zealand. Il “defender” non ha dato scampo agli sfidanti inglesi di Britannia.

“Ha vinto il più forte, senza dubbio” – dice Marcello Persico, quarantenne amministratore delegato di Persico Marine, oltre che vicepresidente (con le sorelle) del gruppo che porta il loro nome, fondato nel 1976 dal capostipite Cavaliere del lavoro Pierino Persico, self-made man all’italiana, figura quasi leggendaria dell’imprenditoria bergamasca. La sede del Gruppo è a Nembro, 20 chilometri a nord della città, un lindo capannone abitato da una tecno-fauna di robot, autoclavi, forni, plotter per tagliare le strisce di carbonio, forni per materiali speciali, banchi di prova. La parola d’ordine qui è “innovation”, e infatti la Persico somiglia più a un laboratorio spaziale che a un’officina tradizionale; gli operai usano i guanti e sperimentano intelligenze artificiali. Qui è stata costruita Luna rossa, passo dopo passo, assieme al team Prada e ai suoi ingegneri hi-tech, per un’impresa che è, sì, sportiva, ma è anche una vetrina di prim’ordine dell’industria, di fronte a un pubblico super-qualificato di tutto il mondo. Non per nulla Prada, Pirelli e Panerai investono 90-95 milioni di euro per la barca, e pagano 2 milioni di dollari solo per la quota d’iscrizione alla sfida.



Le cose però non sono andate come il Fato, questa volta, sembrava volesse concedere: nelle regate preliminari Luna rossa era sembrata a tutti la barca più veloce, ma qualcosa non ha funzionato. Il patron Patrizio Bertelli sono 24 anni che prova a vincere la Vecchia Brocca, ma per il momento ha collezionato solo il maggior numero di tentativi falliti. Lo skipper Max Sirena con il Corriere della Sera ha ammesso: “Sono devastato. È la sconfitta peggiore della mia carriera. Non ci dormo: voglio capire cosa e dove ho sbagliato. Avevo promesso a Bertelli che gli avrei portato la Coppa e non ho mantenuto la parola”.



Anche Sirena pensa che Luna rossa sia arrivata “più vicino ai Kiwi rispetto a tre anni fa. All’inizio della Louis Vuitton Cup, quando li abbiamo battuti, il punto di riferimento eravamo noi”. Incassata la delusione, sbarcati i timonieri James Spithill e Checco Bruni, Luna rossa pensando al futuro si coccola i vivacissimi giovani timonieri Marco Gradoni (20 anni, vincitore della Youth America’s Cup, un mezzo genio) e Ruggero Tita (32 anni, due volte campione olimpico), non utilizzati nella campagna 2024, tra qualche polemica.

La barca neozelandese in finale (ha rifilato un secco 7-2 agli inglesi, che avevano battuto Luna rossa 7-4) è sembrata irraggiungibile: molto giovane, e impeccabile, l’equipaggio; velocità superiore costante, di bolina e di poppa, portamento elegante, mai una sbavatura. New Zealand e Luna rossa – dicono molti esperti – si somigliavano non poco, però sulla barca italiana meccatronica e capacità di manovra hanno fatto più volte cilecca.



Marcello Persico è il “maestro d’ascia” di questi Ac75 volanti, il suo cantiere è noto nel mondo per costruire barche a vela hi-tech personalizzate per le squadre di regata più famose e pure per armatori privati da diporto.

Il Gruppo Persico, tra l’altro, sta raccogliendo anche un’altra sfida: il tentativo di battere il record di velocità a vela, collaborando con due progetti che puntano all’impresa. L’Sp80 è progettato dal Politecnico Federale di Losanna, che lo ha testato sul Lago di Ginevra. Dovrebbe essere pronto nel ‘25. Non ha alberi e neppure un vero scafo. La vela, simile a un kite, lo tira come un grosso aquilone. Più che una barca sembra un piccolo aereo poggiato sull’acqua. Syroco, la “barca” (si fa per dire) francese è un’idea ancora più estrema: una capsula dalla forma allungata, dotata di una lunga pinna che si “ancora” all’acqua solo per mantenere l’assetto. Per il momento è stata testata senza equipaggio e con un kite molto piccolo, per motivi di prudenza: i rischi per gli equipaggi non sono pochi. Ma si sa, i pionieri amano correrli. Sull’acqua, forse si sta aprendo un’era da fratelli Wright.

In 15 anni siamo passati dagli scafi dislocanti ai trimarani, e a questi “aliscafi a vela”: nelle prossime edizioni lei si aspetta un perfezionamento di questo modello di barca oppure nuovi cambiamenti radicali?  

Fin quando Team New Zealand non avrà stabilito quali saranno le regole (spetta al vincitore indicarle, ndr), siamo fermi. Non si sa ancora. I rumors da banchina suggeriscono la volontà di continuare con questo tipo di imbarcazione, e che la prossima Coppa potrebbe essere nel 2027.

Oggi quanto conta il progetto della barca e quanto il team?

Noi qui a Nembro realizziamo lo scafo e gli arm, i bracci che sollevano la barca sull’acqua, non i sistemi elettronici. Il risultato finale è legato più che altro al lavoro del team operativo, lo studio delle geometrie, fluidodinamica e aerodinamica sono materia di Luna rossa. C’è tutta una messa a punto della barca in acqua che spetta a loro. Però è stata importante anche la progettazione, questi sono scafi innovativi. E la barca esce da qua, noi ci sentiamo parte del team. In queste settimane di Coppa America in fabbrica nel pomeriggio c’era sempre acceso lo schermo: la gente lavorava ma con la coda dell’occhio si guardavano le regate. Questa barca andava veramente forte: l’obiettivo, è inutile nascondersi, era portare a casa per la prima volta la Coppa America.

Era una barca diversa dalle altre? 

Luna rossa in questi anni è arrivata spesso più avanti, hanno imparato più gli altri team da noi che viceversa. Anni addietro però lo scafo in Coppa America era tutto, oggi conta, direi, per un 20%. Molto di più fanno le ali, i timoni, il sistema di controllo del volo. E l’equipaggio, in particolare i timonieri, che sugli Ac75 fanno anche la tattica. Questa era la seconda edizione giocata sui foil. Rispetto alla prima, che si è svolta nel ‘21 ad Auckland, in casa di Team New Zealand, c’era meno divergenza tra le barche, in termini di performance sono apparse spesso molto simili. Non mi pare che siano stati gli scafi a fare la differenza.

Luna rossa è stata accusata di essere una barca fragile, si è rotta spesso. Ma diversi di questi incidenti (l’albero rotante che non gira, un binario divelto, un “tuffo” di prua che ha squinternato la copertura, un foil che non risaliva…) se si analizzano con una certa attenzione sembrano dovuti alle fasi sportive della regata, o al software. La barca era affidabile? 

Certo, da mesi la usavano senza problemi. L’albero, i foil, i bracci e il sistema idraulico che li muove erano “one design” per tutti i team, per aumentare la sicurezza e ridurre il budget. Noi eravamo fornitori unici dei bracci per le sei squadre, mentre la loro movimentazione idraulica era affidata a un’azienda della Brianza, Cariboni. Erano l’oggetto più critico: il costo di un braccio si aggira attorno ai 100 milioni, se uno lo rompe per qualche errore progettuale o costruttivo si manda all’aria una bella fetta di budget. Ne abbiamo realizzati 26, ogni team ne ha alcuni di ricambio nel caso succeda qualcosa, e nessuno ha mai avuto problemi. Addirittura tanti usano ancora gli stessi della Coppa America del ‘21. Il software invece ognuno ha sviluppato il suo: quello di Luna rossa è top secret.

Per la prossima Coppa qualcuno ha proposto di fare “one design” anche tutti gli scafi.

Non credo che succederà, dal punto di vista mediatico vedere tutte le barche uguali non sarebbe bello. Gli Ac40, usati per le competizioni dei ragazzi e delle donne erano tutti uguali, e con quella formula si vede una bella lotta fra gli equipaggi. Sono certamente una buona piattaforma per i giovani, ma credo che quando si parla poi di Coppa America le differenze nella progettazione anche delle barche rendano la competizione più affascinante, non solo sul piano sportivo. Gli Ac40 sono un po’ i go-kart con cui ci si allena prima di correre in Formula 1.

Hanno fatto una grande figura i nostri ragazzi: Marco Gradoni e Gianluigi Ugolini come timonieri, Federico Colaninno e Rocco Alekos Falcone trimmer hanno vinto la Youth America’s Cup, e anche la prima Women’s America’s Cup è nella bacheca di Luna rossa grazie a Giulia Conti, Margherita Porro, Maria Giubilei e Giulia Fava. Siamo messi bene per il futuro? 

Tita e Gradoni sono fortissimi, siamo fortunati ad avere dei giovani così, a detta di tutti sono due fenomeni. Patrizio Bertelli ha annunciato che parteciperà anche alla prossima Coppa America: era più un messaggio rivolto all’interno del team, perché il rischio era che qualcuno scappasse.

Di sicuro, la barca italiana è la più bella da vedere: gli stranieri la chiamano “silver bullet”, proiettile d’argento. In questi anni ci avete lavorato su? Sul colore, per esempio: aveva dei riflessi particolari nella baia di Barcellona.

L’aspetto estetico è sempre stato gestito direttamente dalla famiglia Bertelli, Patrizio, moglie e figli. Lui è venuto più volte a Nembro, abbiamo fatto delle prove finché non abbiamo scelto il colore definitivo. Ovviamente per Prada, società di moda, è un aspetto a cui dedicare particolare attenzione.

Lei è andato a Barcellona a seguire la Louis Vuitton Cup: com’era il clima in base? 

Hanno un programma quasi militaresco, devono sempre sapere cosa succede al minuto: alle 8.05 facevano il check dell’elettronica, alle 8.22 montavano l’albero, alle 8.38 la barca andava in acqua… C’è tutta una sequenza molto precisa. Sono state giornate piene.

Si dice che questi Ac75 siano le “Formula Uno del mare”, ma che non arriveranno mai nei nostri porti. Il foil è adatto solo a scafi da competizione? 

Tutt’altro. È una tecnologia che stiamo vedendo entrare in maniera importante da tutte le parti, soprattutto nelle barche che utilizzano i giovani, ma credo che sarà un’onda che si allargherà anche sul resto della produzione. Il giovane oggi si abitua con il kite-foil, con il wind-foil e tutti questi mezzi che si vedono volare sopra l’acqua, catamarani, moth, waszp, 69F: sono i mezzi con i quali i ragazzi di oggi approcciano la vela, e una buona parte di loro, abituata a queste emozioni, le vorrà vivere anche su barche più grandi. Cosa che la tecnologia inizia a permettere. Ci sono diversi progetti in giro, noi abbiamo realizzato una trentina di 69F, barca molto divertente, che porta tre persone e arriva a 35 nodi.

Ci sono anche altri progetti di questo tipo?

L’apice di questo tipo di progetti è un catamarano di 72 piedi che stiamo per varare: imbarcazione da crociera, quindi con gli interni arredati, cucina e bagno a bordo, però sorretti da due foil di 7 metri: potrà volare quasi a 30 nodi sul pelo dell’acqua, non un metro sopra come gli Ac75 di Coppa America. Il software è sviluppato da Bernasconi, yacht designer che lavora con Team New Zealand. E l’armatore ha chiuso un accordo con American Magic per avere per sei mesi il loro team sportivo a sua disposizione per allenare l’equipaggio alla conduzione. Governare una barca del genere, come può immaginare, non è banale. In Olanda poi è in costruzione addirittura una nave da 85 metri in alluminio, con due foil di carbonio da 20 metri, che stiamo realizzando noi.

Come si fa arrivare così all’avanguardia a livello mondiale partendo da una ditta di provincia, che ha sede all’imbocco della Val Seriana, non su un bel golfo di mare?

Noi siamo un’azienda votata per la tecnologia e l’innovazione, il Gruppo Persico ormai è molto internazionale, metà del nostro fatturato – circa 250 milioni – lo facciamo nelle filiali. È quello che muove tutto. Siamo un polo tecnologico: l’altro giorno avevamo in ditta il direttore dell’innovazione del gruppo Bell, tra i maggiori produttori di elicotteri al mondo. Continuiamo a puntare su innovazione e tecnologia e questo ci permette di lavorare in diversi settori sempre all’apice.

Come è nata la collaborazione con Luna rossa?

Collaboriamo dal 2004: allora eravamo i primi ad avere una fresa da 24 metri con cui potevamo lavorare uno scafo intero in carbonio. Nelle ultime due edizioni, Auckland e Barcellona, abbiamo realizzato praticamente la barca completa. Purtroppo quest’anno non celebriamo vittorie, ma come azienda noi siamo orgogliosi di aver fatto parte di questa sfida che comunque ha dimostrato che ormai siamo più che all’altezza dei migliori del mondo. Sono barche di 7 tonnellate che con 15 nodi di vento viaggiano a 50 nodi, circa 100 chilometri l’ora: uno spavento tecnologico. Ci vuole una tecnica di progettazione e di realizzazione ai massimi livelli.

C’è un altro progetto pazzesco in cui siete implicati: il tentativo di battere il record di velocità a vela, portandolo da 65 nodi (120 all’ora circa) a 80 (quasi 150).

Una cosa da pelle d’oca. Abbiamo consegnato lo scafo circa un anno fa, lavoriamo per tutte e due le barche che sono in concorrenza per battere questo record, un consorzio svizzero e uno francese.

(Carlo Dignola)

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