Nella Liturgia del venerdì santo il Rito romano propone la lettura della Passione di Gesù tramandata dall’evangelista Giovanni. Quando il racconto arriva al rinnegamento di Pietro si nota un’insistenza sul fatto che lui, a fronte del destino cui stava andando incontro il Maestro, fosse preoccupato di scaldarsi al fuoco, addirittura in compagnia dei soldati. Probabilmente l’evangelista sottolinea con rammarico il comportamento del primo fra gli apostoli, ma non dimentichiamo che queste pagine nascono anche dal cuore della Madre, con la quale Giovanni ha iniziato a vivere dopo la morte del Signore. Anche Maria avrà notato il desiderio di Pietro di “restare al caldo” mentre il Figlio veniva condotto, a mani legate, dal sommo sacerdote Caifa. Avrà aspettato, la Madre, quel canto di gallo profetizzato da Gesù, perché Pietro, una volta resosi conto, potesse trovare un abbraccio in cui piangere il suo “Non lo sono”, detto per rispondere a chi gli chiedeva: “Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?”. Che contrasto fra la risposta di Simone e quel “Sono io” detto per ben due volte dal Signore alle guardie venute per arrestarlo.
Nell’atteggiamento di Pietro, che cerca un posto per restare al caldo, si nasconde la tentazione dell’uomo di tutti i tempi: vedere come vanno a finire le cose senza compromettersi con la realtà. La paura di smenarci qualcosa, di perdere il posto, di essere riconosciuti, di dover dire la nostra, di uscire dai giochi, di essere fraintesi… spesso accende anche in noi la più rassicurante decisione di “restare al caldo”.
Ma la vita di Pietro, come quella degli altri apostoli, non sarà destinata al caldo del fuoco. La vita di nessuno di noi ha, come destino, l’abbraccio mortale della dimenticanza di sé. C’è un annuncio con cui dobbiamo fare i conti, come accadde agli apostoli, e che attraversa i secoli: Cristo è risorto!
Quello che sembrava un epilogo nefasto e irrimediabile, si è trasformato in una novità inaudita. Gesù, con la risurrezione, ha pronunciato definitivamente il suo “Sono io”, ma non come accadde al suo arresto, per cui le guardie dovettero indietreggiare. Adesso nessuno deve più indietreggiare davanti a Lui. L’unico rischio è quello di indietreggiare davanti a noi stessi, di metterci da parte, di non fidarci del fatto che Cristo è risorto con la nostra stessa umanità, permettendo una riconciliazione vera con ciò che siamo.
Il vero “posto al caldo” diventa così la Sua presenza che intercetta la nostra ovunque si trovi. Come un antico racconto suggestivamente ci testimonia. Durante la persecuzione dei cristiani, ordinata dall’imperatore Nerone, Pietro tenta di scappare da Roma per non essere ucciso. Sulla via Appia, però, incontra Gesù che va nella direzione opposta. “Dove vai, Signore?”, chiede l’apostolo. “Vado a Roma per essere crocifisso ancora”, risponde Cristo. Pietro capì che il suo posto non poteva più essere “al caldo”, ma in croce. Il Signore, che non ci risparmia le fughe, sa come venire a riprenderci proprio nel nostro punto di fuga. Questo abbraccio alla nostra umanità è ciò che possiamo domandare come frutto della Pasqua.
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