Sembra un progetto ambizioso quello di Lodovico Festa e Carlo Tognoli, cioè di ridurre a un libro-conversazione l’immagine di Milano. E invece ne esce un libro-ritratto di una grande città piacevolissimo e più che mai esauriente. Milano e il suo destino. Dalla città romana all’Expo 2015, edito da Boroli e in libreria in questi giorni, è probabilmente uno dei testi più meditati e nello stesso tempo più spontanei sulla storia di Milano, perché si capisce che è un libro vissuto, intensamente vissuto da due protagonisti della vita pubblica milanese e nazionale.

Carlo Tognoli è stato sindaco di Milano, eletto per la prima volta nel 1976, ministro della Repubblica ed eurodeputato per il Psi, direttore di Critica Sociale (la rivista di Filippo Turati e Anna Kuliscioff), presidente della Fondazione Policlinico Mangiagalli. Lodovico Festa, giornalista di “gran razza”, saggista mai banale, è stato prima un intellettuale “impegnato” nella vita politica, con una storia comunista alle spalle di riformismo amendoliano, e adesso è un osservatore attento di questa “buriana” che viene chiamata “seconda repubblica”, nei suoi aspetti politici, sociali, culturali, finanziari ed economici.

A ben vedere, i due personaggi, che parlano e poi riscrivono la loro lunga conversazione, appartengono a un “ceto” che sembra in estinzione: quello dei giovani cresciuti nel Dopoguerra milanese, che si accostavano alla politica portandovi competenza e conoscenza, studi approfonditi e una cultura che non era fine a se stessa, come quella degli eruditi, ma veniva trasformata in azione e in militanza politica. Erano giovani che avevano fatto una doppia scuola, quella normale per tutti e quella nei laboratori politici dell’epoca, dove si conoscevano grandi personaggi italiani, i padri della Milano uscita dal disastro del fascismo e della guerra, i nobili padri della Repubblica.

Tutto questo sforzo e questa passione, a giudizio di chi scrive questo articolo, partiva da una scintilla: l’amore per la città e il Paese in cui si viveva, la voglia di “migliorare” sempre, magari sbagliando, ma in ogni caso tentando e giocando le proprie carte senza fare tanti calcoli di presenzialismo o carrierismo. L’amore per Milano si vede subito fin dalle prime pagine del libro, quando si risale addirittura alla fondazione della città nel ’600 (circa) avanti Cristo, quando il re dei gallo-celtici biturigi, Ambigato, manda suo nipote Belloveso in Val Padania a fondare Mediolanum, nome dall’etimologia non semplice come sembra.

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La “barbara” Mediolanum, che nel 200 avanti Cristo si schiererà con Annibale, “l’invasore”, diventerà ben presto, nel 49 a.C. un “municipium” romano con Giulio Cesare e poi una raffinata sede, prima di cultura romana, poi di cristianità e di modernità, quindi di grande sviluppo, diventando capitale dell’Impero d’Occidente.

 

C’è una nitida linea di continuità nel destino di Milano: quella di essere un “ponte” naturale e importante tra l’Europa continentale e il mondo romano e del Mediterraneo, Una linea di continuità che non si smarrisce mai nel corso dei secoli, anche nei momenti più drammatici e nei periodi più bui. Milano può essere distrutta, ma poi viene sempre ricostruita. Milano può attraversare “momenti di follia”, ma poi riprende la sua bussola, che non è solo quella di città dei commerci e dei traffici, dei grandi mercanti o dei grandi produttori, ma anche una capitale europea della cultura, del vivere con buon senso e raziocinio, dell’indicare scelte politiche, culturali e sociali che poi diventano un esempio per altre grandi città.

 

Ci sono i grandi vescovi di Milano, la loro partecipazione intensa alla vita della città, la loro opera riformatrice che ne garantisce anche l’indipendenza. Il “rito ambrosiano” è una sorta di “dna” di questa città, che invita Sant’Agostino a viverci e a lavorarci. E ancora c’è la città del “gran ducato”, con i Visconti e gli Sforza, che diventa un baricentro della politica italiana ed europea. Ci sono ancora grandi uomini di Chiesa come i cardinali San Carlo Borromeo e poi Federigo. E infine arrivano gli invasori, gli spagnoli, gli austriaci e i francesi che non riescono mai a strappare il destino di Milano. Anzi, nel caso degli austriaci lo rendono ancora più grande.

 

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La lunga “cavalcata” storica di Festa e Tognoli passa attraverso i grandi personaggi a cui Milano ha sempre aperto le porte, a cominciare da Leonardo da Vinci per arrivare a Foscolo e Stendhal, che si innamoreranno di Milano. Ma è ricca anche della testimonianza umana di grandi milanesi, come Cesare Beccaria e i fratelli Verri, alfieri di quell’illuminismo lombardo che non ha i difetti di quello francese. È questa storia che porterà Milano, tra fine Ottocento e primo Novecento a essere la capitale del riformismo socialista e del grande realismo cattolico. Qui il destino di Milano si fissa nella sua grandezza, che non è relegabile solo nella cosiddetta “politica del fare”, ma in una lunga costruzione di una città che pensa e agisce, che spera e ragiona, che attua le riforme necessarie ma non dimentica la sua tradizione.

 

Sono molto belle le discussioni sull’urbanistica di Milano, sulla sua architettura, sul suo sviluppo viario che corrisponde sempre al suo riformismo politico che fa i conti con una città dove, ogni giorno, si contano quasi cinque milioni di abitanti, anche se ve ne vivono solo poco più di un milione. Questo destino milanese, che si interrompe con il fascismo ma che riprende subito nel Dopoguerra, è il miglior distintivo di Milano. Festa e Tognoli descrivono la Milano della ininterrotta amministrazione socialista, le lotte politiche, le abdicazioni e soprattutto l’incomprensione, in uno dei “momenti di follia”, del grande sforzo di affrontare un nuovo salto di modernità in uno dei momenti più drammatici del Paese.

 

Ci permettiamo di dire che il libro è, indirettamente, quasi profetico. Presto, molto prima di quanto si pensi, Milano risponderà ancora al suo destino storico. Si ripenserà a quel periodo di “isteria giustizialista” e si continuerà a fare, dopo aver soppesato il grande pensiero riformista e cattolico. Restando però sempre il “ponte” insostituibile tra il Nord e il Sud dell’Europa.