I racconti non invecchiano. Possono cambiare i contesti e i modi di realizzazione e sembrare datati a chi guarda o ascolta, ma le storie e ciò che comunicano nel profondo non cambiano, anzi sembrano perfettamente in grado di adattarsi al tempo. Guardando L’uomo che disegnò Dio (disponibile su Prime Video) si ha proprio l’impressione di un racconto dallo stampo antico, ma che parla di oggi.
Seconda regia di Franco Nero, 17 anni dopo Forever Blues, il film vede lo stesso attore/regista al centro della vicenda, da lui scritta con Eugenio Masciari e Lorenzo De Luca, nei panni di un pittore non vedente che ha lo straordinario potere di dipingere ritratti solo ascoltando la voce del soggetto del dipinto. Una dote che lo renderà celebre suo malgrado, tanto da attirare il circo mediatico, circo nel vero senso del termine, visto che Emanuele (questo il nome del pittore) sarà coinvolto in una sfida televisiva dentro il tendone di una compagnia circense.
L’uomo che disegnò Dio amplia le ambizioni rispetto al film d’esordio di Nero, non solo perché racconta una storia più ampia e complessa, con più personaggi e situazioni, perché cerca di mescolare toni e registri diversi, come la satira, il dramma familiare, tocchi di fantastico e accenni da “legal-drama”, ma soprattutto perché prova a mettere in scena temi non da poco, a partire dal rapporto tra i sensi e l’arte, cercando di tessere un racconto su un mistero insondabile, che non cerca di risolvere ma solo di comunicare (il finale in questo senso è tanto beffardo quanto esemplare): da dove arriva l’ispirazione, che rapporto c’è tra ciò che percepiamo e il modo in cui lo elaboriamo?
Questo mistero, declinato in diverse forme dalla sceneggiatura, interrogato in diversi modi dai personaggi, dà vita a un film cangiante, che spesso muta direzione e a volte lo fa pure con fatica, soprattutto in sede di scrittura, in cui i conti stilistici non tornano sempre, ma che mette a nudo l’esigenza di Nero di fare cinema non solo per il piacere e il gusto di farlo, ma soprattutto per comunicare qualcosa, emozionare se possibile, ma anche trasmettere idee e visioni del mondo.
È una posizione forse moralistica, ma il regista e attore – 82 anni, di cui 60 passati nel cinema diventandone un’icona – ha un carisma e un’impostazione non sguaiata per cui quella posizione diciamo che può anche permettersela, visto che poi, in fin dei conti, ciò che dice e che pensa degli uomini, dei loro vizi e delle loro virtù è anche condivisibile.
Prodotto, tra gli altri, da L’Altrofilm di un altro regista Louis Nero, L’uomo che disegnò Dio è tornato nell’interesse dei cinefili, dopo l’anteprima al festival di Torino e l’uscita in sala, dopo l’assoluzione di Kevin Spacey, di cui questo è il primo e – al momento – unico lavoro dopo l’esilio hollywoodiano e i processi: ma oltre alla prova di Spacey, doppiato dalla sua voce consueta, quella di Roberto Pedicini, ci sono vari attori di calibro internazionale a rinforzare le interpretazioni di Nero e Stefania Rocca, da Faye Dunaway a Robert Davi, fino a Massimo Ranieri.
L’Uomo che disegnò Dio, la galleria fotografica
(Foto di Letizia Toscano, per gentile concessione de L’Altrofilm)
Franco Nero
Stefania Rocca
Weha Abram
Simona Nasi
Diana Dell’Erba
Diego Casale
Andrea Cocco
Diana Dell’Erba, Simona Nasi, Vittorio Boscolo e il Circo Peppino Medini
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