In procinto dell’imminente festa di Halloween, Netflix ha proposto un nuovo thriller proveniente dalla copiosa produzione nordeuropea. L’uomo delle castagne (miniserie in 6 episodi, disponibile dal 29 settembre) è di fatto un lungo film poliziesco tratto da un romanzo di Søren Sveistrup, più conosciuto come sceneggiatore per la serie The Killing. La vicenda è ambientata nella Copenaghen di oggi, ma la storia ha origini più lontane, negli anni ’80, quando un’intera famiglia di agricoltori fu trovata massacrata e il caso non fu mai risolto. Sulla scena del crimine furono rinvenuti decine di pupazzetti di castagna, realizzati dai bambini secondo un’antica tradizione danese.
Saranno due giovani investigatori impegnati a seguire il caso di una donna trovata morta in un parco, il cui corpo ha subito violenze e menomazioni, a stabilire una relazione tra i due episodi così lontani tra loro. Sul luogo del delitto, infatti, essi hanno trovato, lasciato come firma dall’assassino, un pupazzetto di castagna. Non ho commesso un involontario spoiler perché la relazione tra i due episodi è chiaramente evidenziata sin dalle prime scene. Questa “rivelazione” in realtà rende il racconto molto più credibile e l’attenzione di chi guarda si può concentrare sulle indagini, sulle abilità degli investigatori, sulle reazione delle vittime e sulle resistenze dei loro superiori.
Le resistenze dei vertici della polizia hanno però origine anche con l’emergere di una terza “connessione” con un altro caso ancora, da loro chiuso troppo in fretta. Sulle castagne usate dall’assassino per il pupazzetto vengono ritrovate le impronte di una bambina scomparsa l’anno precedente, le cui indagini furono concluse con l’individuazione di un presunto assassino e senza aver mai trovato il cadavere. La bimba scomparsa era Kristina, la figlia di Rosa Hartung, la ministra alle Politiche sociali. Il caso aveva avuto risonanza mediatica e turbato l’opinione pubblica. Da qualche settimana il rientro al posto di lavoro della ministra dopo mesi di sofferenza ha aiutato politicamente un Governo in difficoltà.
L’intreccio con la vicenda politica, anche se apparentemente casuale, intende gettare un’ombra sulla qualità delle politiche sociali verso i bambini. Paradossale. Stiamo parlando della Danimarca, il Paese più a “misura di bambino” che esiste al mondo. Per cui colpisce questa sottile vena di critica a un sistema che tutti considerano perfetto e che invece nasconde sotto al tappeto troppe inefficienze. Quello che si vuole criticare è la scarsa attenzione verso le denunce di maltrattamenti in famiglia e il metodo di adozione dei bambini disagiati, fino al trattamento riservato alle mamme single e problematiche. Insomma, i temi classici di una società ricca e opulenta che fa fatica a riconoscere i problemi dei più deboli ed emarginati, soprattutto se donne e bambini.
Le serie thriller del nord Europa sono sempre avvantaggiate dal contesto, da quel clima freddo e poco accogliente, dalla luce scarsa e opaca, dalle infinite distese di boschi e di prati. Ma anche dai casermoni dei quartieri periferici, dal massiccio consumo di alcol, dalla solitudine delle persone. Molto bravi i due protagonisti, l’attrice di origine serba Danica Curcic, nei panni della poliziotta Naia Thulin, e Mikkel Følsgaard che interpreta Mark Hess, l’altro investigatore con un passato tragico e un’esperienza nell’Europol. I due alla fine si lasciano per raggiungere i loro nuovi incarichi, ma tra di loro c’è più della fiducia nata durante le indagini. Anche per questo Netflix sta pensando a una seconda stagione.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI