“Nel prendere atto che è venuta meno la serenità necessaria per portare avanti la ‘mission’ della Riserva, come sancita nella legge regionale istitutiva, e che, in particolare nell’ultimo anno, si sono verificati episodi a me sgraditi, sia per la forma che per la sostanza, che oggettivamente non mi consentono di dispiegare compiutamente la mia professionalità, rassegno le dimissioni da direttore della Riserva. Sono sicuro che la Riserva, incardinata su una straordinaria esperienza naturalistica da me promossa nel corso di oltre vent’anni troverà il modo per avviare una ripartenza che sia coerente con la sfida per la valorizzazione dei beni ambientali coraggiosamente lanciata dalla Regione Calabria tre anni fa”.



A poco più di due anni di distanza da un famoso articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera che per primo – o quasi – denunciò i tentativi di appropriazione indebita da parte della politica della Regione Calabria sull’oasi naturalistico-culturale di Valli Cupe, sita nel comune di Sersale, in provincia di Catanzaro, lo studioso botanico che quel progetto ha sviluppato negli ultimi vent’anni, Carmine Lupia, ha dovuto gettare la spugna, con quelle poche parole, tristissime, dietro le quali probabilmente si cela una guerra senza quartiere da parte di quei politici che intendono, a livello nazionale e locale, la sussidiarietà come “parassitismo”. Specie quando c’è di mezzo una specie di miracolo in terra di nessuno, come possono essere definite quelle bellissime valli nella profonda Calabria.



Adesso sembra che il sindaco di Sersale, Salvatore Torchia, sia intenzionato a respingere le dimissioni di Lupia, ma quest’ultimo, da noi interpellato telefonicamente, fa capire che “ora è il momento per tutti di riflettere”. Cioè di prendersi una pausa e di farsi una profonda analisi di coscienza.

Come si diceva, il primo tentativo della politica – respinto con perdite grazie all’articolo “Grand canyon delle poltrone” pubblicato da Stella sul Corriere dell’8 maggio 2017 – di mettere le mani sul progetto Valli Cupe risale a oltre due anni orsono. Dopo il trambusto che fece questa pubblicazione, prudentemente, quella politica che scambia la sussidiarietà con il saprofitismo aveva ritirato i propri artigli dal progetto Valli Cupe. Ma la guerra sotterranea, o carsica, contro lo studioso Carmine Lupia era continuata.



Poi, recentemente, era nata una proposta di legge per dare in mano la gestione del tutto a Legambiente, che – per carità – tanti meriti ha acquisito nel campo ecologico e naturalistico, ma che nella fattispecie poteva sembrare come un tentativo di esproprio di competenze della cooperativa messa in piedi da Lupia. Anche se l’interessato nega per telefono che questa sia la ragione delle proprie dimissioni apparentemente irrevocabili. E però, al tempo stesso, nega e cita il progetto di legge in questione, non noto al mondo intero. Un caso di tollendo ponens?

Vallo a sapere. Lupia nega sia pressioni della criminalità organizzata – che in loco sono sempre un’opzione da tenere in considerazione – sia da parte della politica. E però la sua scarna lettera di dimissioni parla da sola, citando “episodi sgradevoli” accaduti nell’ultimo anno. Cioè dopo che era passata la buriana per l’articolo di Stella che aveva smascherato le mire della Regione Calabria e di altri enti locali sulla riserva di Valli Cupe.

Un’oasi che da sola sembrava fatta apposta per smentire tutti i luoghi comuni sulla Calabria e sulla sua politica rapace e predatoria. Adesso forse l’incantesimo – che aveva creato anche una decina di posti di lavoro a tempo indeterminato in un paese altrimenti abbandonato dagli uomini (e forse anche da Dio) oltre a sette musei e altrettanti ristoranti, nonché una presenza turistica da 50mila persone l’anno nei cosiddetti “alberghi diffusi” con una potenza ricettiva di 50 posti letto in borghi che fino a prima di due anni orsono nessuno neppure conosceva – è svanito.

Carmine Lupia per telefono sembra stanco e forse anche un po’ spaventato da questa vicenda che lo ha impegnato al limite delle proprie forze. Per questo parla di riflettere e per questo ha dato le dimissioni per farlo in santa pace. Vista l’ingratitudine della politica locale e nazionale, che al contrario dovrebbe dare il buon esempio. E riflettere essa stessa sui danni che arreca – anche d’immagine – questa sussidiarietà intesa come parassitismo e appropriazione indebita delle iniziative fatte dagli altri. Specie quando si constata che funzionano.