Questo genere di articolo è quanto di più difficile possa toccare a chi scrive di musica, c’è il rischio dell’iperbole, c’è il rischio di beatificare, si rischia anche la perdita di obiettività. Quando poi il musicista in questione è un tuo idolo, un idolo che ti conosceva, con il quale ci si chiamava per nome e ci si salutava con un abbraccio, il compito diventa molto duro, quasi impossibile.



Per Lyle ogni genere di iperbole non è sufficiente per rappresentarne la grandezza. Molti nel ricordarlo lo definiscono genio e in effetti genio lo è stato, una sorta di Frank Zappa del jazz, ma assai più discreto e rigoroso. Una carriera strepitosa la sua, una marea di riconoscimenti, ben undici i Grammy Award vinti con il Pat Metheny Group, oltre a quattordici nomination. Nel 1975 a soli ventidue anni riceve la prima nomination al Grammy per l’album LAB’75 della North Texas Lab Band del quale era l’arrangiatore. Si mise in mostra ispirandosi negli arrangiamenti ai Tower of Power, che diverranno suo punto di riferimento negli anni a venire anche per scrivere le partiture dei synth. Woody Herman ne aveva intuito le grandi capacità e lo volle nella sua big band fino a che Lyle, nel 1976 a Boston al club Zircon, suona per la prima volta con Pat Metheny insieme a Danny Gottlieb alla batteria e Steve Swallow al basso.



“Fu veramente una serata speciale, come se io e Pat avessimo suonato insieme da anni: fu una cosa fantastica. Decidemmo quella sera che avremmo suonato ancora insieme, senza sapere né quando né dove” ricorderà Mays.

Mays entrerà nel Pat Metheny Group vincendo la concorrenza di un altro grande nome del jazz, Gil Goldstein, eccellente pianista, grande arrangiatore, molto legato a Pat sin dai tempi dell’università. Metheny rimarrà affascinato dalla sua incredibile bravura intuendo, probabilmente, quali e quante potenzialità avrebbe potuto esprimere negli anni a venire.

Per Gil Goldstein, “Ho cercato di assimilare lo shock e la tristezza della perdita di Lyle Mays. L’ho incontrato proprio quando sono arrivato a New York alla fine degli anni ’70. Ho avuto la fortuna di incontrare Pat Metheny nel 1973, quando entrambi frequentammo l’Università di Miami e, naturalmente, fu il mio tramite per scoprire il mondo di Lyle. Ho ascoltato il gruppo dai suoi primi concerti; il modo in cui la loro musica è cresciuta negli anni, segna uno dei le più importanti collaborazioni musicali nella storia del jazz. C’è Gil e Miles, Billy e Duke, e Pat e Lyle. Insieme hanno composto e arrangiato la musica che ha catturato la nostra generazione e vivrà, ispirerà e sarà una vera eredità musicale. È una delle maggiori perdite della musica del XX secolo. Veramente”.



Lyle ha pagato quel passaggio generazionale che gli ha impedito, negli anni di maggior successo, di essere considerato e conosciuto come tanti grandi del piano della storia del jazz, causa l’approccio della critica jazz incartapecorita, bacchettona e conservatrice. Con il tempo, finalmente, quasi tutti sono concordi nell’ammettere che il successo del Pat Metheny Group, del quale era cofondatore, è dovuto in parti uguali a lui e a Metheny. Lyle della band era il pianista e tastierista, il coautore della maggior parte dei brani oltre ad esserne il formidabile arrangiatore ed orchestratore. Poco divo, si esprimeva in concerto, rarissime le sue interviste, quasi impacciato negli incontri con i fan, tutto il contrario del suo sodale, loquace ed egocentrico. Anche nei dopo concerto tendeva ad estraniarsi, se ne stava in disparte e non di rado lo scorgevi nei camerini intento nella lettura di qualche libro.

“Mi ha molto colpito la sua scomparsa. Ricordo la cordialità con cui mi accolse l’ultima volta che ci siamo incontrati a Londra nel 2010. Mi aveva visto diverse volte da bambino, grande fu la sua sorpresa nel rivedermi dopo tanto tempo”, ricorda Carlo Viva.

Casualmente negli anni si appassionò ai synth con l’acquisto, nel 1976, di un Micromoog. In seguito divenne consulente delle più importanti case costruttrici. Eppure il grande amore di Lyle era il pianoforte.

“La mia musica è un continuo tributo a Bill Evans”, diceva in una intervista del 29 giugno 1987. “ Non ho mai suonato piano classico e nemmeno potrei farlo; quando iniziai ero molto giovane e gli approcci classici furono con le note e con brani semplici. Già all’epoca ero portato al jazz ed ero un po’ ribelle nelle lezioni. Da allora ho ascoltato molti pianisti classici, costruendomi una collezione di dischi e studiando autonomamente sugli spartiti. Il principale coinvolgimento nel piano classico è per me il suono dello strumento. Il timbro, il grande timbro del pianoforte, il controllo, la dinamica, i fraseggi, sono tutti aspetti della tecnica classica per me molto importanti, che ho cercato di inserire nella musica che suono abitualmente”.

Lyle in ogni occasione dava il suo tocco, senza essere eccessivo o ridondante; era capace di nobilitare con un semplice accordo o una singola nota l’andamento di un brano o di un a solo. Compositore originale, spaziava dal jazz alla musica classica contemporanea, ponendo sempre uguale attenzione all’aspetto ritmico, armonico e melodico dei brani. Assolutamente straordinario il suo tocco al piano e l’approccio ritmico.

La sua produzione solistica è stata centellinata negli anni, ma per chi volesse approfondirne la conoscenza, apprezzarlo e studiarlo, gli album del PMG rappresentano un’autentica miniera d’oro a partire da WATERCOLORS (ECM, 1977) prima incisione che lo vide insieme al chitarrista. PAT METHENY GROUP (1978, ECM), il primo stupendo album della band che apre il periodo ECM nel quale la collaborazione fra Lyle e Pat raggiunge vette altissime. AMERICAN GARAGE (1980, ECM) l’album per certi versi più rock, OFFRAMP (1982, ECM) contenente capolavori come Au Lait, e la splendida James nella quale esegue uno dei suoi soli più belli. In questo album evidenza la maestria e l’interesse nelle nuove tecnologie.

“Utilizzo il Synclavier principalmente per suoni chiari e brillanti, come marimba e xilofono. L’Oberheim, invece, lo uso per i suoni di insieme come i brass, dal punto di vista della orchestrazione più o meno come una sezione di corni. A volte uso anche i suoni degli archi, anche se non li penso come tali”, amava dire.

TRAVELS (1983, ECM) capolavoro assoluto, fotografa la band nel momento migliore con Pat e Lyle che gareggiano in bravura in Travels, Farmer’s Trust, e Are You going with me? nel quale è presente uno dei suoi rari soli al synth. FIRST CIRCLE (1984, ECM) con l’omonimo brano, una delle più entusiasmanti composizioni dei due musicisti. THE FALCON AND THE SNOWMAN, (1985, EMI) colonna sonora del film di John Schlesinger, con l’hit This Is Not America cantato da David Bowie, ne evidenzia la bravura di arrangiatore e orchestratore. STILL LIFE (TALKING) (1987, GEFFEN), è l’album della svolta brasiliana, una produzione molto sofisticata, alla Steely Dan, con due brani agli antipodi l’hit Last Train Home (Metheny) e Distance (Mays)

Lyle Mays: “Last Train Home è molto americano, qualcosa come Aaron Copland o, meglio ancora, Arlo Guthrie: una musica folk, molto semplice… Distance è molto contaminato dai compositori dell’Europa centrale e orientale: Mahler, Bartók, Stravinsky. Le note sono entità astratte e non hanno la forma di una song, sono invece simili alle strutture praticate nel XIX e nel XX secolo. Il brano è scritto in uno stile molto differente dal resto del disco”.

Con il successivo LETTER FROM HOME (1989, GEFFEN), la band arriva al culmine del successo entrando anche nelle top ten del nostro paese. L’influenza brasiliana nella musica si fa più evidente, Mays mostra tutta la sua genialità come compositore in   Are We There Yet mentre in 5-5-7 sono le sue tastiere ad incantare. In Letter from Home proposta dal vivo in duo, Lyle e Pat emozionano come non mai; l’unisono piano e chitarra diventerà un modello poi replicato da tantissimi artisti. THE ROAD TO YOU (1993, GEFFEN) registrato dal vivo diventerà una sorta di spartiacque, bisognerà infatti attendere ben sei anni per il nuovo lavoro in studio WE LIVE HERE (1995, GEFFEN), a cui faranno seguito QUARTET (1996, GEFFEN) e IMAGINARY DAY (1997, WARNER BROS.). Pat Metheny, insaziabile nella sua voglia di musica, approfitta del lungo periodo di pausa del PMG per intensificare la sua carriera solista con nuove formazioni ottenendo grande successo di pubblico e critica. Nonostante questo la sua musica non dà la sensazione di bello, di nuovo, di rivoluzionario, come quella del PMG. I due grandi musicisti, una sorta di Lennon e McCartney del jazz, insieme, sono stati capaci di raggiungere le più alte vette nella storia del jazz moderno andandosi a collocare “a metà strada fra i gruppi acustici come il Bill Evans trio, o le band ECM, come quella di Keith Jarret, o ancora le band elettriche come i Return To Forever di Chick Corea e gli Headhunters di Herbie Hancock, che erano molto funky. Da una parte le electric fusion band e dall’altra le acoustic band; Pat vide nel mezzo la giusta combinazione, capiì come il nostro gruppo avrebbe dovuto suonare” (Lyle Mays).

Mays concentra la sua produzione solista tra il 1986 e il 2000. Quattro gli imperdibili album a suo nome a cominciare dal primo leggendario LYLE MAYS (1986, Geffen) contenente la struggente Close to Home, seguiranno STREET DREAMS (1988, Geffen), nel quale dà sfogo al suo amore per i fiati nei brani Feet First e Possible Straight e dipinge due cammei insieme a Bill Frisell in August e Newborn, strepitosa Chorinho eseguita in solitario al piano e tastiere. In FICTIONARY (1992, Geffen) si propone nella classica forma del trio con piano acustico, contrabbasso e batteria insieme Jack DeJohnette e Marc Johnson. Nelle note di copertina Mays con molta umiltà, manifesta la sua riconoscenza nei confronti di Herbie Hancock, Keith Jarrett, e Paul Bley per averlo ispirato oltre a dedicare un brano a Bill Evans (Bill Evans) e a Chick Corea (Fictionary). IMPROVISATIONS FOR EXPANDED PIANO SOLO (2000, Warner Bros.) presenta un Lyle Mays in solitario nella sua veste più consona e sperimentale. Un lavoro intimo, non facile, ma generoso nel rilasciare grandi emozioni come in Procession e Long Alife. I silenzi, gli spazi della sua musica, testimoniano l’affetto per i luoghi di infanzia, Lyle nato il 27 novembre 1953 a Marinette, aveva infatti vissuto fino al 1971 in una fattoria nei pressi di McAllister. L’ultimo disco ufficiale pubblicato a suo nome sarà il Live THE LUDWISBURG CONCERT registrato il 19 novembre 1993 e pubblicato solamente nel 2015. Con lui Mark Walker alla batteria, Marc Johnson al contrabbasso e Bob Sheppard ai sassofoni che lo accompagnarono nel tour che toccò l’Europa e anche il nostro paese.

Dopo cinque anni di silenzio, nel 2002, il PMG improvvisamente torna in pista, cambio di batterista (Antonio Sanchez) e ingaggio di Richard Bona voce e basso. Arriva così un nuovo grande album come SPEAKING OF NOW (2002, WARNER BROS.), carico di energia che sembrava aprire un nuovo proficuo periodo del PMG, come confermato dagli strepitosi concerti dell’estate 2002 (ben otto esibizioni nel nostro paese). Il sodalizio fra i due grandi musicisti sembrava rafforzato. Purtroppo occorrerà attendere altri tre anni per THE WAY UP (2005, NONESUCH) l’album che segnerà l’epitaffio del PMG. All’interno di una unica suite, 68 minuti di musica, Lyle Mays ancora una volta ci regala delle toccanti parti di piano con uno straordinario controllo delle dinamiche anche nei pianissimo, mostrandosi anche in questa occasione l’anima   del sound del PMG. Quest’ultimo album, il più complesso dell’intera produzione, proprio perché a cavallo con le nuove tecnologie, lo costrinse ad una completa revisione della sua strumentazione. Grazie al lavoro di Bob Rice, venne effettuato il campionamento e l’editing digitale delle storiche tastiere che contenevano il “suo suono” (Oberheim, Prophet, Synclavier), il tutto al fine di rielaborare con la massima precisione il sound dei suoi synth. Imponente il suo equipaggiamento in sala, oltre al sistema Digital Performer 4.12, ecco il vecchio Steinway Hamburg midizzato (Gulbransen Midi Mod), l’interfaccia midi Opcode Studio 5, due Korg Triton e un Mcintosh G4 collegato a un Atmosphere e al Mach Five attraverso il Digital Performer.  Lyle utilizza inoltre un vecchio Powerbook per controllare un OMS studio con i suoi campionamenti oltre a programmare l’Opcode Studio 5. Presenti inoltre un Kurzweil K2500 e una Roland JV 2080. Sarà la produzione più sofisticata e lunga di tutta la discografia del PMG. Disco molto lavorato, non solo tecnologicamente, la sua preparazione era infatti, già in essere ai tempi dell’uscita di SPEAKING OF NOW.  Si chiuderà qui la storia discografica del PMG. Album straordinari, come straordinari furono le esibizioni della loro band nella quale militarono autentici fuoriclasse come il cantante e polistrumentista argentino Pedro Aznar, il leggendario percussionista Nana Vasconcelos, Armando Marçal, Mark Ledford, David Blamires, Nando Lauria, i bassisti Mark Egan e Richard Bona, Danny Gottlieb primo batterista della formazione sostituito poi da Paul Wertico e, successivamente, da Antonio Sanchez. Tra gli appassionati del Pat Metheny Group, montava la nostalgia del grande tastierista, specie in occasione dell’uscita dei nuovi album di Metheny, sempre eccellenti, ma molto distanti dalla musica del PMG, immediata, ma sofisticata al tempo stesso. Insieme erano stati capaci di creare un sodalizio inarrivabile. Lyle, come non di rado alcuni grandi sanno fare, ha scelto di tirarsi fuori, continuando a studiare, esibendosi di tanto in tanto con gli amici più cari, rifiutando di rimanere stritolato dallo show business. Metheny ha mantenuto i ritmi altissimi di inizio carriera, e in una sorta di folle corsa non si è risparmiato in fatto di album e concerti. Negli anni sia la produzione discografica, sia le sue esibizioni hanno cominciato a segnare il passo, incluso l’ultimo album appena uscito.

Metheny, probabilmente non si è reso conto, suo malgrado, che quel tipo di musica non poteva prescindere da Mays e dalla sua sapienza e genialità. La fine del loro sodalizio era da tempo nell’aria, un rapporto logorato dalle migliaia di concerti che vedrà l’epitaffio proprio con THE WAY UP. Durante il tour di lancio di quel cd si avvertirono i primi cedimenti della straordinaria band. Una volta eseguita la lunga composizione venne dato spazio ad una serie di brani eseguiti in duo e in trio senza la presenza di Mays; James venne addirittura suonata in trio senza di lui. Era evidente che qualcosa si era interrotto. Metheny negli anni seguenti tentò di riportarlo on the road e ci riuscì per un breve tour nel 2008 e con uno più articolato che toccò l’Europa e il nostro paese nell’estate del 2010. Fu il canto del cigno del Pat Metheny Group presentatosi in quartetto con Metheny, Mays, Steve Rodby e Antonio Sanchez. Apparve evidente che quella straordinaria storia, iniziata il 28 giugno 1977 al club Axis a New York, era giunta al capolinea. Produzione ridotta all’osso a scapito di sonorità e tessiture. Concerti che durarono anche un’ora e mezza quando la band negli anni d’oro suonava almeno due ore e mezza ad esibizione. Diversi i momenti di tensione fra i due. Si parlò più volte di un seguito del leggendario AS FALLS WHICITA, SO FALLS WICHITA FALLS uscito nel giugno 1981 a nome di Metheny/Mays, uno dei tanti capolavori nati dalla loro collaborazione. Due straordinari artisti che certo non immaginavano che avrebbero rivoluzionato la tecnica sui loro rispettivi strumenti, oltre alle modalità compositive.

Per Giulio Carmassi, “Lyle è uno dei grandi pianisti (non solo jazz) del ‘900. Forse le caratteristiche che lo definiscono di più, sono l’eleganza e il suono. Quasi tutti gli altri grandi nomi hanno tecnica e ritmo, genialità’ melodica e armonica (Corea, Hancock, Jarrett, Peterson, etc. , ma il suono e l’eleganza, la sobrietà’ nelle scelte sono il campo di Lyle. Lyle è un po’ come un Bill Evans 2.0 elettrico.  Ti sorprendeva con qualità, con eleganza, con serietà, senza ironie, senza barare. Non faceva le cazzate per fare il piacione. Lui era un po’ l’ultimo dei pianisti “seri” del jazz”.

A inizio 2013 quando viene annunciato l’ingaggio di Giulio Carmassi, pochi erano a conoscenza che il talentuoso musicista italiano, avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di cantante e polistrumentista nella nuova edizione del PMG insieme a Metheny e a Lyle Mays; sembrava cosa fatta, ma all’improvviso Mays si chiamò fuori e venne così messo on the road il Pat Metheny Unity Group che altri non era la estensione della Unity Band (Antonio Sanchez, Chris Potter, Ben Williams, Metheny) con l’aggiunta di Giulio Carmassi al piano, voce e strumenti vari. La forsennata attività del chitarrista è stata probabilmente la vera causa della chiusura del sodalizio, i due già a fine anni ’80 cercavano di evitare contatti se non sul palco. Metheny si calò sempre più nel ruolo di portavoce della band, oscurando il ruolo e l’importanza di Lyle Mays, così come ha fatto con i musicisti di personalità che gli sono stati accanto.

“Quando non siamo on the road e non dobbiamo lavorare insieme, cerchiamo di stare separati, facendo cose differenti. Penso che questa separazione amichevole sia piuttosto salutare. Il nostro rapporto è essenzialmente non verbale, comunichiamo meglio attraverso la musica. Se Pat sta suonando qualcosa, io l’ascolto e posso suonare qualcos’altro: è uno scambio musicale, molto difficile da spiegare. Mi sento musicalmente molto affiatato con lui, ma non posso dire altrettanto dal punto di vista personale. Quando siamo in tour l’unica cosa che vuol fare è suonare; i day off non sono per lui una vacanza, bensì un impedimento a fare ciò che gli piace. La maggior parte del suo tempo è dedicata alla musica” raccontava Lyle Mays.

Aveva la passione per il basket e per il calcio. A Varese, in una pausa del sound check, ci coinvolse in una accanita sfida a pallone con i tecnici e alcuni membri della band come Armando Marçal. Quando gli feci vedere il piano dell’opera del libro che stavo scrivendo su Pat Metheny, con un capitolo a lui riservato, fu molto collaborativo e, oltre ad elencarmi per ogni brano della produzione gli strumenti da lui suonati, mi disegnò in esclusiva il suo piano di palco incluso l’audio e midi routing. Sempre nello stesso tour del 1987 gli chiesi un’intervista. Dopo un paio di giorni mentre eravamo a cena a Bolzano, tramite il suo tour manager mi chiese con molto garbo se volevo andare con lui a Milano in treno (una delle sue grandi passioni), sarebbe stata l’occasione giusta per intervistarlo con calma. Lyle si aprì completamente parlando di argomenti molto personali, del suo modo di intendere la musica oltre a manifestarmi le sue grandi passioni. All’improvviso la sua piccola borsa sembrò quella di un prestigiatore, tali e tante erano le cose che ne uscivano. Una scatola di scacchi, un libro (Il Dramma del Bambino Dotato di Alice Miller), tre palle di pezza con le quali iniziò a fare degli esercizi da giocoliere e infine il cubo di Rubik risolto in pochi secondi.

“I miei hobby? Primo fra tutti, il gioco degli scacchi, poi mi interessa la lettura. Mi piace anche il cibo, anche se non è molto evidente. Passo molto del mio tempo libero a cucinare, è davvero un grande piacere per me. Non sono un grande cuoco, ma il mio standard è comunque alto. Sono molto attratto dalla psicologia, mi piace leggere Alice Miller che è un’estensione e un’interpretazione più moderna di Freud. Mi interessa l’esplorazione psicologica di me stesso, la psicoterapia, la storia della propria personalità e anche leggere le storie di altre persone. Ritengo che l’esplorazione della propria personalità sia una cosa molto preziosa. Mi diverto molto a giocare a basket, anche se per le mie dita non è certo una buona cosa! Vado spesso al cinema, mi piacciono tutti i film di Hitchcock e di Woody Allen” (Lyle Mays, 29 giugno 1987).

Fu un regalo, questo suo aprirsi, dopo di allora decine di altri incontri, un saluto, un abbraccio, ma il dono più bello era ascoltarlo in concerto. All’epoca Pat era al pieno della sua forma chitarristica, che spettacolo vederli suonare! Quando Lyle fiutava che era la serata giusta, iniziava a dispensare al piano delle cose straordinarie, si inarcava sullo sgabello, ed eccolo regalare qualcosa di unico. Negli anni la nostalgia di Mays è sempre aumentata, di lui ogni tanto arrivava notizia di qualche sporadico concerto. Fu proprio uno dei suoi amici più cari, il contrabbassista Marc Johnson, durante Umbria Jazz 2016, ad aggiornarci su di lui “Lyle sta bene, vive a Los Angeles, gioca a biliardo e lavora in sala di registrazione e non vuole più saperne di tour massivi”.

Lyle coltivava la passione per i computer e le nuove tecnologie applicate ai synth oltre a comporre partiture di musica sperimentale.  Su You Tube è documentata l’esibizione avvenuta il 14 gennaio 2011 in occasione della conferenza TEDxCaltech a Pasadena in California. Con lui sul palco Jimmy Branly (batteria), Andrew Pask (sassofoni), il suo amico Bob Rice (chitarra e digital sounds), Tom Warrington (contrabbasso), Rich Breen (audio engineer), Jon 9 (visualization). Venne appositamente realizzato un lungo brano diviso in due diverse sezioni, scritto combinando composizione musicale, improvvisazione jazz, equazioni fisiche e composizione algoritmica. L’ultima sezione vede riproposto con un nuovo arrangiamento Before You Go, tratto dall’album STREET DREAMS. Una esibizione decisamente insolita ed originale, ma l’entusiasmo di Lyle Mays alla fine del brano (strepitoso al piano e alle tastiere) serve forse a capire certe sue scelte.

“Ho avuto la possibilità di suonare una volta con lui, insieme a Joni Mitchell. Ha un grande talento: amo il suo senso armonico, il suo uso dei sintetizzatori, le sue tessiture, sceglie sempre cose belle” (Herbie Hancock).

Insieme a Joe Zawinul è stato uno dei maestri alle tastiere inventando dei suoni che divennero il suo marchio di fabbrica; il suo stand in concerto era qualcosa di mai visto per l’epoca. Per anni, lui e Zawinul, si contesero il primo posto come tastierista, nei più importanti referendum. Tutti ne hanno celebrato la straordinaria sensibilità sugli strumenti elettronici, ma la sua grandezza stava nel tocco al pianoforte sul quale eseguiva il 90% dei suoi a soli.

Insieme a Joe Zawinul l’ho sempre ritenuto il migliore in assoluto nel contesto generale della musica, senza addentrarsi troppo per poi perdersi tra classificazioni e generi. Era anche un eccelso programmatore di suoni con i suoi storici synths,  l’Oberheim Four (Eight) Voice con il quale creava avvolgenti tappeti di archi sintetici meravigliosi, invece con il Sequential Circuits Prophet Five, ideò il suo classico “ocarine sound” che tanto ha caratterizzato i brani del PMG e non solo, fino alla programmazione insieme allo stesso Pat, del synth digitale ,rivoluzionario per quel periodo (anni ’80), il NED Synclavier, fino ad arrivare al pianoforte (poi midizzato) Steinway & Sons (con sopra sempre il suo fedele synth Roland IX-10), fino ai nuovi synths Korg e Kurzweil che aveva adottato più recentemente. La sua altissima creatività culminava nella qualità estrema delle sue armonie, mai intelligentemente e quindi volutamente troppo complicate e forzate. Con sole tre note, riusciva a creare un vero capolavoro, come solo lui poteva fare.

La grande amarezza della sua scomparsa, oltretutto, rimane nel fatto di non poter ascoltare più le sue musiche inedite, tra demo audio e partiture, brani e idee sicuramente straordinari, che a decine rimarranno per sempre nascoste nella loro stessa eterea e spirituale dimensione. Speriamo che vengano alla luce alcune idee che Lyle aveva già registrato negli ultimi anni, con i suoi vecchi amici musicisti di sempre, come Jimmy Branly e Bob Rice o chissà, lo stesso Pat, anche se sappiamo bene che senza la sua interpretazione non daranno mai lo stesso risultato.

Come dicevo la sua malattia non è stata, così come si potrebbe pensare la sola causa del suo distacco dal mondo musicale. “Lyle, proprio per la sua estrema intelligenza e sensibilità, preferiva vivere lontano da un mondo caotico e distorto che gli apparteneva sempre meno con il passare degli anni. Un dolore troppo intenso per noi tutti sintetisti tastieristi e compositori che in Lyle più di altri abbiamo avuto un riferimento assoluto, spesso assorbito anche inconsciamente, di ispirazione e riferimento. Lui che viveva e sapeva sempre andare “oltre”, con la musica, con i suoni e specialmente con l’anima” (Don Dyza).

Una manciata le partecipazioni divise fra collaborazioni con altri artisti dal leggendario SHADOWS AND LIGHTS live con Joni Mitchell, GIRL AT HER VOLCANO, di Rickie Lee Jones (1983, Warner Bros.) per arrivare al bellissimo soundtrack di Mr. Soffel uscito nel 1985 a nome di Mark Isham in FILM MUSIC (1985, Windham Hill). Imperdibili i suoi interventi in SCHEMES AND DREAMS (Sheffield Lab,1994) del suo grande amico Pat Coil e PREMONITION (1991, Windham Hill) autentico capolavoro di Paul McCandless, senza dimenticare la storica partecipazione in CONTEMPLACION (Interdisc) di Pedro Aznar che sancì l’ingresso di quest’ultimo nel PMG. Altre interessanti collaborazioni con la etichetta Rabbit Ears fra il 1987 e il 1994 dove accompagna la voci di grandi attori in Tale of Peter Rabbit, Tale of Mr. Jeremy Fisher, East of the Sun, West of the Moon, Moses the Lawgiver.

Fra la produzione meno conosciuta grande importanza rivestono alcune composizioni classico contemporanee che evidenziano il suo interesse per generi musicali apparentemente estranei alla sua formazione. Significative a tal proposito le composizioni Somewhere in Maine rappresentata nel 1988 dal duo Marimolin e poi contenuta nel cd  Marimolin, Marimolin, Nancy Zeltsman (1995, GM Recordings) , Twelve Days in the Shadow of a Miracle commissionatogli dal The Debussy Trio (1996, Sierra Classical) oltre a Mindwalk scritta per Nancy Zeltsman e inserita nel doppio cd INTERMEDIATE MASTERWORKS FOR MARIMBA (Bridge, 2009). Da allora qualche sporadica esibizione e il sostegno alla attività della nipote fino all’assoluto silenzio.

Sapere che non c’è più, ci riempie il cuore di tristezza e diciamolo pure, un grande dolore, noi che fino all’ultimo, con alcuni fidati amici, ci auguravamo di un suo ritorno sulle scene. Lyle se n’è andato. Non finiremo mai di ringraziarlo per il dono della sua straordinaria musica e per averci concesso l’onore di camminare qualche passo accanto a lui. La fine di un era.