Il gioco s’è fatto maledettamente complicato. Oppure più semplice, a seconda dei punti di vista.

Ogni voto è sempre una questione politica, sia che si voti il sindaco di Rignano sull’Arno, sia che si tratti di rinnovare il parlamento europeo. I leader lo sanno e lo sapevano. Lo si è visto ieri. Salvini da due giorni ha cambiato messaggio: la sicurezza ha lasciato il posto a parole d’ordine già note ma ora più martellanti, flat tax, autonomia, Tav. La spada di Damocle delle inchieste giudiziarie è ancora pendente, ma potrebbe non essere più letale. Il sottosegretario Rixi lo ha detto: in caso di condanna risponderà del suo mandato solo a Salvini, non a Conte.



Quelle parole le ha sentite ieri anche il presidente del Consiglio, quando per due lunghe ore ha incontrato Salvini. Poi è salito al Colle, a rassicurare il Capo dello Stato. Si va avanti, gli ha detto preoccupato il premier. Non potrebbe essere altrimenti, per ora. Salvini si comporta da capo del governo: dovremo venirgli incontro, assecondarlo, altrimenti salta tutto.



Poco prima lo stesso Salvini aveva recitato un copione concordato con Di Maio: se mi presentate Di Battista, finisce qui. Più che una minaccia salviniana, un monito di Di Maio ai suoi. Un rischio, quello del voto e perciò di un nuova vittoria di Salvini, che M5s vede con orrore, e che preoccupa anche il Colle. Meglio navigare a vista. Ma fino a quando?

Oggi si voterà sulla piattaforma Rousseau: una messinscena Made in Casaleggio e Associati per conservare le leve del comando e garantire una parvenza di legittimazione democratica. Di Maio resterà in sella, prima era l’uomo del patto con Salvini, adesso deve garantire la sopravvivenza di M5s.



Naturalmente M5s dovrà porre meno veti, è inevitabile. Ieri sul Corriere Paragone ha detto che l’Economia deve andare a Salvini, è giusto che la prenda lui. Una polpetta avvelenata, perché il ministro dell’Economia dovrà trattare con Bruxelles la prossima manovra. E qui i conti saranno difficilissimi da far tornare, senza un deficit ben superiore al 3% che la Ue vecchia gestione non vorrà concedere. E nemmeno la nuova che si formerà.

Anche il “Capitano” leghista però sa far di conto. Ciò che gli occorre è tenere in vita il governo intanto che si gioca la partita europea delle nomine, avere un Conte debole, ma in sella, cui suggerire cosa fare a Bruxelles.

Dopo, il gioco non reggerà, perché Mattarella non può permettere che il paese resti bloccato. Dunque tutti alle urne. Il più è capire quando. Autorevoli commentatori mettono in circolo l’ipotesi di un voto a fine settembre. L’abile Di Maio, dopo un bagno di umiltà, potrebbe “fare da argine” fino ad allora.

In questo modo la campagna elettorale sarebbe sulla manovra, con la Lega pronta a riscrivere il reddito di cittadinanza e a modificare quota 100 per fare cassa. Allora sì che Salvini si giocherebbe tutto, sulla tolda di comando di una rottura “elettorale” con l’Europa e, al tempo stesso, di una trattativa con il nuovo establishment, puntualmente ostile all’Italia ma stavolta più possibilista per ragioni di stabilità europea. Magari dopo aver avuto il via libera degli Usa e aver constatato che in Europa i capi di Stato e di governo, del tutto divisi sulle nuove cariche, sono però uniti nel voler riportare l’Italia sotto controllo. Lo spread è pronto, il “sell Italy” anche. Davvero il “Capitano” si gioca la promozione a generale sul campo. Diversamente c’è solo Waterloo.