Franza o Spagna purché se magna. Il senso profondo della doppia consultazione di 48.975 grillini “aventi diritto” – ammazza! si commenta in romanesco – al voto sulla piattaforma Rousseau è che l’alleanza con quei puzzoni del Pd è fattibile. E che si possono fare tre mandati elettorali, o giù di lì: abbattendo il tabù della non-rieleggibilità escogitato per far credere ai gonzi che gli attivisti grillini fossero dei puri interessati ad aiutare il Paese e non a diventare professionisti della politica. Macché: ora s’è visto.
Il quesito cui gli iscritti hanno risposto sì (non plebiscitariamente: al 59%, altrimenti sembrava Bielorussia e pareva brutto) era: “Sei d’accordo con la proposta del Capo Politico di valutare, sentito il Comitato di Garanzia, la possibilità di alleanze per le elezioni amministrative, oltre che con liste civiche, anche con i partiti tradizionali?”. Che s’ingrana con l’altro quesito, che poi nasce dallo stesso movente: “Sei d’accordo a impegnare il Capo Politico ed il Comitato di Garanzia a modificare il cosiddetto mandato zero, escludendo dal conteggio del limite dei 2 mandati elettivi, un mandato da consigliere comunale, municipale e/o Presidente di Municipio?”, e qui il consenso è stato all’80%.
Tradotto: il “Capo politico” (leggere questa definizione paleo-maoista e vedersi formare in mente l’immagine di Di Maio ha un effetto tragicomico!) può fare accordi con chiunque gli proroghi le poltrone e gli appannaggi. Ce lo ricordiamo tutti il tormentone grillino, quello di chiamare il Partito democratico “il Pd meno elle”, cioè un partitaccio come il Pdl, con una “elle” di meno. Dov’è finito?
Non c’è più perché non c’è mai stato. E ci ricordiamo i coretti di “onestà-onestà”. E si scopre che tra furbetti dei 600 euro, transfughi al gruppo misto, e quote di stipendio mai versate al partito l’onestà non è proprio una dimensione totalizzante, da quelle parti. Dunque le cose ben chiare in testa al Capo politico e alla prima linea grillina sono due: se si votasse oggi alle politiche, e negli enti locali ovunque si voterà, il rischio di polverizzare i propri consensi, alla luce delle contraddizioni, degli insuccessi e delle inconsistente sfoggiate al governo nazionale, sarà colossale. Lasciamo perdere i sondaggi, che ormai valgono poco e niente: tutti abbiamo amici grillini, e ci mancherebbe: tra loro ci sono tantissime persone perbene e di qualità, semmai ingenui; e interpelliamoli, raccogliamo la loro delusione, misuriamo da vicino come ormai l’unico movente che potrebbe indurli a ripetere il voto è quello di sempre: “E se no, chi voto?”. Siamo di nuovo all’appello montanelliano: “Voto Dc, turandomi il naso”.
Questo è rimasto del Movimento autoproclamatosi rinnovatore, autoproclamatosi puro e onesto, il cantore della simmetria tra gli eletti e gli elettori, i teorici dell’“uno vale uno”, senza gerarchie blindate… Macché: non era che una lunga lista di bugie, o di fantasie neanche deliberatamente mendaci, semplicemente scritte sulla sabbia da persone in troppi casi semianalfabete.
A Roma però la Raggi si ricandida da sola. E da Milano, Sala fa sapere che se deciderà di ricandidarsi, non lo farà imparentandosi con i grillini, a dispetto del fatto che del loro capo lui, chissà perché, si mostri amico e con lui trascorra piacevoli domeniche insieme (i due c’azzeccano come la mostarda su una meringa, ma l’amicizia non ha tabù).
Che significa che Raggi e Sala vadano per conto loro? Significa che a Roma la Raggi si sta convincendo di aver risalito la china del discredito assoluto di due o tre anni fa e di non doversi misurare con concorrenti muscolosi di targa piddini; e che a Milano Sala sa che non c’è barba di grillino che possa impensierirlo e che, soprattutto, chi vuoi che votino al secondo turno i milanesi non-leghisti tra lui e Salvini o chi Salvini piazzerà sotto il Duomo?
Dunque lo pseudo plebiscito di ieri seppellisce definitivamente il Movimento 5 Stelle. Da domani, almeno, chiamiamolo partito.