Che il campo largo delle opposizioni sia morto, almeno per ora, sembra un punto fermo nel panorama politico italiano in perenne movimento. È un esito politico figlio di una pluralità di fattori, dalla faida al centro fra Calenda e Renzi sino alla concorrenza fra Conte e Schlein. Ma è rilevante, soprattutto in chiave futura, quale dinamica si possa scorgere.



Premessa: senza l’unità del campo delle opposizioni è difficile immaginare di essere competitivi con il centrodestra. Questo continuano a dire tutti i sondaggi. Ma ogni alleanza per presentarsi all’elettorato in maniera convincente ha bisogno di una direzione. Ha bisogno sopra ogni cosa di una leadership chiara e riconoscibile. E qui cominciano i dolori per il campo largo, perché ci sono troppi galli a cantare.



Prima delle elezioni europee i pretendenti erano soprattutto due, Conte e Schlein, appunto. Il voto dell’8 e 9 giugno ha però cambiato radicalmente gli equilibri. Il Pd ha preso il volo, superando il 24%, mentre i pentastellati si sono fermati qualche centesimo di punto al di sotto della soglia psicologica del 10%. Una mutazione radicale dei rapporti di forza, che non può rimanere senza conseguenze. Visto che la regola non scritta della politica è che una coalizione viene guidata dal leader della formazione politica più votata, la questione dovrebbe considerarsi chiusa: Schlein in prospettiva sfidante di Meloni nella corsa a Palazzo Chigi, quando sarà.



Troppo facile. E infatti qualcosa ha cominciato ad andare storto. Più fattori si sono sommati. Il primo, la riluttanza di Conte a rimettere nel cassetto il sogno di tornare a Palazzo Chigi. Ben consapevole che finire nel cono d’ombra del Pd sarebbe corrisposto a un inesorabile declino del consenso del Movimento, l’ex premier ha cominciato a smarcarsi sistematicamente. Differenziarsi per non farsi fagocitare. L’Ucraina, le elezioni locali, nessuna occasione è stata lasciata cadere. Questa pervicace tendenza a diversificarsi ha coinciso con un irrigidimento del gruppo dirigente raccolto intorno a Schlein. E questo è il secondo e decisivo fattore che ha messo in crisi il progetto del campo largo. Tutte le voci che escono dal Nazareno sono concordi nel sussurrare che oggi il Pd non è disposto a discutere della leadership. Anzi, i fedelissimi della Schlein sono convinti che alla fine, quando sarà necessario, saranno gli altri a dover tornare a Canossa.

Si tratta di uno scenario a lungo termine non privo di ostacoli e di rischi. Il primo è di sconfitte nelle varie elezioni locali che costelleranno i prossimi mesi, sino alle elezioni politiche generali prossime venture. I prodromi si intravedono nelle regionali di novembre, in Liguria come in Emilia-Romagna: la difficoltà di mettere insieme il campo largo, con i veti di Conte su Renzi, rappresenta oggettivi rischi di insuccesso. Se dovesse accadere, si creerebbe un serio problema politico, e qualcuno dovrebbe risponderne.

La distanza fra Conte e Schlein si è misurata anche nella vicenda del rinnovo del consiglio d’amministrazione della Rai: all’Aventino deciso dal Pd, M5s e Avs hanno risposto entrando nel Cda di viale Mazzini, e con ogni probabilità avranno ampia voce in capitolo sulle prossime nomine, occupando il posto che la segretaria democratica ha deciso di lasciare libero.

Certo, tanto Conte quanto Schlein hanno i loro grattacapi interni. In casa Pd l’autocandidatura di prepotenza di Vincenzo De Luca per la Regione Campania indica come i cacicchi siano vivi e vegeti. Per tacere dei mal di pancia dell’area cattolico-democratica. In parallelo, fra le fila pentastellate, il controllo assoluto di Conte sul Movimento è messo in discussione dal “garante” e fondatore Beppe Grillo, spalleggiato da Virginia Raggi. La strada verso la rifondazione attraverso un’assemblea costituente è costellata di ostacoli.

Per il momento, però, le strade del Pd e del M5s sembrano destinate a rimanere parallele, quando non divergenti (almeno per un po’). Farle di nuovo convergere non sarà facile, perché per costruire un’alternativa credibile a una maggioranza compatta come appare oggi il centrodestra serve tempo. Serve una prospettiva comune. Un’alleanza semplicemente “contro” ha vita breve. Ulivo e Unione lo hanno dimostrato.

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