Emmanuel Macron vuole essere il primo leader europeo a incontrare di persona il nuovo inquilino di palazzo Chigi Mario Draghi. Per questo, scrive Repubblica, starebbe lavorando per invitare l’ex Presidente della Bce all’Eliseo o per recarsi in visita a Roma. Sembra che possa nascere un’alleanza tra il Presidente francese e il Premier italiano in vista anche di quello che accadrà in Germania dopo la fine dell’era Merkel. Resta da capire se questa intesa potrà essere incisiva anche per quel che riguarda la riscrittura delle regole del Patto di stabilità e crescita su cui la Commissione europea domani dovrebbe pronunciarsi per un altro anno di sospensione. Come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, non sarebbe certo la prima volta che si verrebbe a creare un asse tra Roma e Parigi. «Tuttavia negli ultimi anni questo asse si è dimostrato intrinsecamente instabile».
Perché Macron oggi dovrebbe cercare un asse con Draghi?
Per riequilibrare a proprio uso e consumo il rapporto di forza con la Germania. In questa fase Macron ha l’esigenza di creare una serie di punti di pressione su chi sarà il leader a Berlino dopo Angela Merkel. La Francia ha bisogno di far leva su altri Paesi per moltiplicare la propria potenza nel contesto dei rapporti di forza europea e l’Italia è la terza economia dell’Eurozona.
Quindi potrebbe cercare di stringere i rapporti anche con altri Paesi europei.
Sì, potrebbe per esempio cercare di creare un più ampio asse dei Paesi mediterranei. Non si tratterebbe certo di qualcosa di inedito, ma anche in questo caso i precedenti hanno dimostrato che si tratta di dinamiche instabili. Questo perché fondamentalmente dal punto di vista degli equilibri economico-finanziari gli operatori guardano alla Germania per decidere le condizioni di accesso al mercato di ciascun Paese dell’Eurozona. Quindi, anche quando la Francia è parte di questo asse mediterraneo non è in grado di riequilibrare in modo veramente efficace il rapporto di forza con la Germania, che, dal punto di vista economico e finanziario, rimane il fulcro dell’Eurozona.
Questo avviene per incapacità politica della Francia o perché non le interessa più di tanto quello che accade agli altri Paesi?
Bisogna distinguere due ambiti. Quando si tratta di aspetti finanziari e della loro proiezione in termini di accesso al mercato non c’è modo di controbilanciare la potenza tedesca, perché i mercati guardano alle valutazioni, alle azioni e agli input provenienti da Berlino. Se la Bce negli ultimi anni è stata in grado di adottare politiche monetarie iper espansive è anche perché la Germania ha deciso di adottare una postura di scetticismo costruttivo, senza mai opporsi in modo irrimediabile.
Sono arrivate però critiche all’operato dell’Eurotower…
Sì, la Germania ha fatto un’opposizione anche aspra a tratti, ma senza mai porre alcun veto e lasciando alla fine che la Bce potesse prendere quelle misure che ben conosciamo. Se da Berlino arrivasse una valutazione contraria molto netta, irrimediabile, rispetto a delle scelte dell’Eurotower, i mercati la seguirebbero e ne incorporerebbero le implicazioni nelle loro aspettative. Per questo è difficile controbilanciare i rapporti di forza con la Germania per quel che riguarda le politiche economico-finanziarie. Su tutto il resto, invece, esiste un potenziale significativo e lo vediamo nella ricerca da parte della Francia di un’intesa con l’Italia per ottenere supporto alle sue politiche industriali e nel riformare alcuni aspetti della politica economia dell’Ue (vedi probabile, futura riforma del Patto di stabilità e crescita), utilizzando il nostro Paese come moltiplicatore di potenza.
In che modo l’Italia può aumentare la potenza francese?
La Francia ambisce a essere percepita e trattata dalla Germania come un attore paritetico. Ha difficoltà a farlo da sola, perché è in grossa difficoltà economica, basti vedere la crescita del suo debito pubblico negli ultimi anni. Dunque per poter aumentare la propria forza agli occhi di Berlino deve fare leva sull’Italia che è comunque la terza economia dell’Eurozona, peraltro con posti chiave nelle istituzioni Ue (Parlamento, Commissione e Bce) e un Premier di grande standing internazionale.
L’Italia avrebbe qualcosa da guadagnare da questo rapporto privilegiato con la Francia?
Credo che l’obiettivo a breve termine di Draghi sia quello di garantire l’approvazione del Programma nazionale di ripresa e resilienza italiano senza difficoltà, in modo che possano arrivare quanto prima le risorse del Recovery fund. Chiaramente avere la Francia come alleato in questa partita sarebbe importante. Nel medio termine, poi, l’Italia deve poter fruire di queste risorse in modo fluido, senza troppi stop-and-go, evitando cioè che ci possano essere delle contrapposizioni strumentali in seno all’Ue. Avere un’intesa bilaterale o plurilaterale con alcuni Paesi europei è quindi sicuramente un elemento di vantaggio.
Per Draghi è quindi importante avere una sponda con Parigi per evitare “brutte sorprese” sulle risorse europee…
Draghi è conscio che le fragilità macroeconomiche italiane non si possono risolvere con un approccio lineare, aumentando l’imposizione fiscale o diminuendo la spesa pubblica di qualche punto percentuale. Il Premier ha bisogno di moltiplicatori di politica economica, il più importante dei quali è costituito dalle risorse del Recovery fund. Tuttavia, perché queste possano esercitare l’impatto massimo c’è bisogno che vi sia una desistenza fiscale da parte europea che fornisca una quadro macroeconomico coerente con le finalità dei fondi europei.
Sembra che le regole del Patto di stabilità possano restare sospese anche per tutto il 2022. Non basta?
La letteratura economica ci dice è che una delle variabili fondamentali degli investimenti è il grado di incertezza. Occorre quindi un quadro in cui gli agenti economici abbiano una ragionevole certezza delle prospettive dell’offerta e della domanda aggregata che dovranno fronteggiare. Questo riguarda anche i programmatori della finanza pubblica: non si può chiedere loro di sviluppare un Pnrr che sia molto potente ed efficace quando non sanno se dal 2023 ci sarà o meno un vincolo del 3% sul rapporto deficit/Pil.
Per quanto tempo andrebbero sospese le regole?
Penso che l’orizzonte temporale debba essere in linea con quello del Recovery fund. Non ha senso, infatti, parlare di un’iniziativa senza precedenti, da un lato, e scontare la possibilità che possano essere reintrodotti i vincoli di bilancio europei, dall’altro. Ritengo che, con le recenti iniziative europee, dal punto di vista intellettuale, oltre che politico, si siano create le premesse per mettere in soffitta il Patto di stabilità.
Cosa intende dire?
Da un lato, il Patto di stabilità prevede una serie di vincoli di finanza pubblica che sono figli di un’altra era macroeconomica, dall’altro, con le recenti iniziative europee si vuole incidere sulla struttura dell’economia, trasformarla in senso verde, in senso digitale, tenendo presente l’esigenza di inclusività sociale. Questo implica che non si possono trattare deficit e debito con un approccio monodimensionale, occorre discriminare la qualità della spesa pubblica, degli investimenti, andando a vedere se sono verdi o no, digitali o no. L’approccio del Recovery fund presuppone una maggiore selettività delle iniziative di politica economica, che inevitabilmente il nuovo quadro macroeconomico europeo dovrà recepire.
Tornando alla possibile sponda tra Italia e Francia, sembra di poter essere di fronte a un’operazione win-win. È così?
Sicuramente questa relazione privilegiata con Parigi può essere importante nell’ambito delle decisioni europee affinché esse non siano sfavorevoli all’Italia. Tuttavia è importante che non ci siano contropartite, di cui magari l’opinione pubblica resti all’oscuro, riguardanti gli asset strategici di cui il nostro Paese è depositario e su cui la Francia ha espresso un interesse da lungo tempo.
(Lorenzo Torrisi)