È stato un incontro confidenziale, il terzo da quando Macron è presidente, nella cornice consueta della Biblioteca apostolica. Al centro del colloquio, la guerra. E le vie per costruire la pace.
Sull’Ucraina il Papa ha mosso da tempo la diplomazia vaticana e ha fatto dichiarazioni che hanno infastidito Kiev (come quelle su Darya Dugina) e lasciato perplessa l’informazione a senso unico, come quando ha accusato la Nato di avere “abbaiato alle porte della Russia”. Mentre Macron è il presidente francese che aveva diagnosticato per l’Alleanza atlantica la “morte cerebrale”. Ne parliamo con Francesco De Remigis, inviato a Parigi per Il Giornale.
Cosa rappresenta alla luce di questi fattori l’incontro di ieri tra papa Bergoglio e Macron?
Parliamo di 55 minuti di complicità intellettuale col Pontefice e certo anche di un sottile braccio di ferro “politico” sull’Ucraina. Nell’analisi e nelle risposte da dare alla crisi, Macron e Francesco hanno posizioni divergenti. Il presidente francese, come Mattarella, rivendica una pace che non ignori il diritto alla difesa. Una pace che non può diventare la consacrazione del potere del più forte.
A tuo avviso, che cosa li divide?
Mi pare che l’idea della Santa Sede sia quella di congelare la crisi ucraina per riaprire il tavolo negoziale. La politica occidentale ha però un’agenda da rispettare, e per quanto l’universalismo possa piacere a Macron – l’ha definito “il miglior antidoto al relativismo odierno” –, c’è il campo da affrontare. E le risposte sono quelle che raccontiamo da mesi.
Punti di contatto?
Più che altro un gioco di sponda, questo sì. Non vedo molte altre analogie. O sinergie.
Qual è il punto su cui Macron non transige?
Un punto chiave credo sia la convinzione che la Nato debba funzionare meglio, in termini di prossimità. Ecco perché Macron insiste sulla difesa europea, affinché il Vecchio continente possa diventare autonomo in termini di strategia e capacità militari, non certo per alzare bandiera bianca di fronte ai rischi di invasione che, come abbiamo visto, sono ancora nascosti tra le pieghe della Storia.
Macron regala al papa un’edizione francese del trattato kantiano Per la pace perpetua, ma la Francia non ha mai rinunciato a far valere i propri interessi strategici su tutti i fronti oggetto di colloquio: se non il Caucaso, senz’altro il Medio oriente e l’Africa. Che ne pensi?
Il messaggio malizioso, dato da Macron a un uomo che considera un pari grado a tutti gli effetti, a cui dà del tu, e che saluta con una carezza sulla spalla lasciando il Vaticano, credo sia il seguente: “Non dobbiamo confondere il patriottismo con il nazionalismo spinto”. A suo dire, il patriottismo è un concetto ben diverso dal nazionalismo esacerbato portato avanti dal potere russo: un nazionalismo che secondo Macron si è rafforzato con l’isolamento dal resto del mondo e poi consolidato con il revisionismo storico.
Fin dal 24 febbraio è però risultato chiaro che Macron, nonostante la guerra, ha un’interlocuzione diretta con Putin più di altri leader europei. Qual è l’obiettivo del presidente francese?
L’attivismo iniziale, ormai nove mesi fa, era dovuto anche al ruolo internazionale di Macron, che all’epoca, come Francia, presiedeva il Consiglio dell’Ue. Poi nelle scorse ore ha ricordato che “i rapporti sono più importanti delle persone”. Mi pare però che i suoi sforzi siano stati un buco nell’acqua. Non vuole rompere del tutto con la Russia, ma non è riuscito neppure a riportare Putin a più miti consigli.
E come potremmo definire il rapporto con la Santa Sede sancito dalla visita al Papa di ieri?
Siamo al terzo viaggio in Vaticano, i rapporti sono rodati, consolidati, e il meccanismo di confronto ben oliato. C’è anche la possibilità che Macron riesca a strappare una visita del Papa a Notre-Dame nel 2024, quando dovrebbero essere ultimati i lavori di restauro della cattedrale dopo l’incendio. Visto che dal 2008 un Papa non va in visita, la Francia ha tutto l’interesse a riceverlo Oltralpe, in un Paese pieno di faglie. E di chiaroscuri legati alla religione.
Macron a Roma, ospite di un incontro sulla pace organizzato dalla Comunità di sant’Egidio, alla presenza di Mattarella; incontro con la neo-premier Meloni; incontro con il Papa il giorno successivo. È un’agenda politica. Quale politica?
Quella di un leader che ha capito prima di altri quanto sia importante diffondere le proprie idee su più piani, solo apparentemente distanti, affinché quanti più leader entrino alla fine nello schema tracciato dall’Unione Europea, e cioè far di tutto per fermare la guerra senza parteciparvi, continuando a sanzionare la Russia per bloccare il suo sforzo bellico.
Cosa serve per riuscirci?
Avere interlocutori non solo politici, ma leader a 360 gradi, per affrontare talvolta insieme, ognuno con i propri strumenti, altre volte con il mondo spettatore, problemi e sfide che per la Francia sono centrali.
A che cosa ti riferisci?
Penso al Mali, da cui Macron si è ritirato e dove invece Sant’Egidio è ancora molto attiva. E dove forse in futuro anche l’Europa sarà nuovamente trascinata. In politica arrivare troppo in anticipo sui tempi non sempre è un vantaggio, anzi. Macron, in un certo senso, ne è la prova.
(Federico Ferraù)
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