Macron, Scholz e Draghi, per la prima volta insieme a Kiev insieme al presidente della Romania Klaus Iohannis, hanno promesso all’Ucraina “sostegno incondizionato” e lo status di candidato all’ingresso nell’Unione Europea. L’Ucraina “difende ogni giorno i valori che sono alla base del progetto europeo e le atrocità testimoniano quanto questo progetto sia essenziale” ha detto Draghi. 



Ma c’è un giallo e riguarda la fornitura di armamenti. Zelensky “non ci ha chiesto armi” ha dichiarato il capo del governo italiano. Eppure, proprio il presidente ucraino ha detto che a Kiev servono “armi pesanti e moderne” per contrastare la Russia. Dichiarazioni contrastanti, che, ad essere maliziosi, fanno involontariamente luce sul probabile, vero obiettivo del colloquio.



“I tre leader europei hanno capito che i loro interessi non sono compatibili con una guerra di lunga durata” ci dice Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione, già componente di AgCom e Antitrust, “e potrebbero aver fatto pressione perché Zelensky adotti un’altra prospettiva sulla situazione attuale”. 

D’altra parte proprio Macron mercoledì aveva detto non solo che “faremo di tutto per fermare le forze della Russia e aiutare gli ucraini e il loro esercito”. Nello stesso contesto, il presidente di turno dell’Unione aveva anche aggiunto che “il presidente ucraino e i suoi funzionari dovranno negoziare con la Russia”.



Partiamo dalle dichiarazioni di Macron rilasciate alla vigilia del viaggio. Come vanno interpretate?

I leader europei hanno capito che l’ipotesi di una vittoria ucraina non è al momento realistica e che le alternative sono due: o una guerra di lunga durata, a condizione di trasferire all’Ucraina non solo maggiori quantità di armi, ma anche uomini, perché lo squilibrio in campo è notevole; oppure avviare trattative, convincendo gli ucraini che continuare la guerra non è loro interesse.

Di tutto questo non si è fatto cenno in conferenza stampa.

Ovviamente no. Ma è evidente che i tre leader europei hanno capito che i loro interessi non sono compatibili con una guerra di lunga durata. I rifornimenti sono difficili, i prezzi delle materie prime sono alle stelle, le industrie incontrano ostacoli sempre maggiori, l’inflazione sale e i posti di lavoro sono a rischio. 

Quindi?

In questa fase dovrebbe venire naturale premere per le trattative. E francamente penso che il cuore del messaggio, certo non l’unico, a Zelensky sia stato proprio questo.

“Ci servono armi pesanti”, ha detto Zelensky. “Non ci ha chiesto armi”, la versione di Draghi. 

Che dire? È un aspetto su cui converrebbe fare chiarezza.

Draghi ha parlato di “sostegno incondizionato”. E ha ripetuto che “è l’Ucraina a dover scegliere la pace che vuole”. Ma a Washington c’è chi è convinto che serva una via d’uscita.

Ho l’impressione che dopo mesi di politica allineata ai media mainstream – l’Ucraina ha ragione, noi dobbiamo contribuire alla vittoria di chi ha ragione – si stia facendo strada un’idea più realista, basata sulla constatazione che i russi stanno avanzando, e che più avanzano, più Kiev sarà debole in sede di trattative. Questo vuol dire coinvolgere l’Ucraina in una visione diversa da quella che si è affermata fino a ieri.

Sta dicendo che c’è una crescente distanza tra Europa e Stati Uniti?

C’è sicuramente un disallineamento tra Stati Uniti e una certa Europa da una parte, e Germania, Francia ed Europa del Mediterraneo dall’altra. In questi governi si saldano preoccupazioni di breve e di lungo periodo, come salvare l’economia e ripristinare le relazioni internazionali.

Questa differenza di vedute può favorire una svolta?

Non basta. Trovare il modo di impostare delle trattative non è semplice e dipende dal rapporto tra Putin e Biden molto più che dagli europei. Un negoziato serio può esserci soltanto con un accordo tra americani e russi.

Che cosa potrebbe smuovere Washington?

Gli Usa sono davanti al fatto che la guerra alimenta indirettamente l’inflazione interna, che è molto alta e ha indotto la Fed a rispondere con un rialzo record dei tassi. La guerra non fa bene a Biden: più inflazione, meno consenso. E in autunno c’è il voto di midterm. 

Ci ha già detto che Francia, Germania e Italia hanno problemi incompatibili con una guerra che continua a lungo. Ci spieghi meglio.

Le difficoltà economiche acuiscono sempre le tensioni politiche interne. Nel governo tedesco i verdi rappresentano istanze nettamente filoamericane, mentre la Spd è storicamente il partito dell’Ostpolitik e del rapporto con il mondo russo. In più Scholz ha problemi nell’assicurare lo sviluppo dell’economia, molto penalizzata dalle contromosse energetiche russe, e questo aumenta le sue difficoltà nel tenere insieme la coalizione.

E Macron?

La Francia ha forti ambizioni strategiche ma non una forza militare alla loro altezza. In una fase di forte concorrenza elettorale, Macron fa fatica a sostenere l’immagine di grandeur che gli servirebbe per stroncare la sfida di Mélenchon. Di Draghi sappiamo bene.

“L’Italia vuole l’Ucraina nell’Ue, vuole che abbia lo status di candidato e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio europeo” ha specificato Draghi. Tutti d’accordo, ma Scholz è stato più cauto.

Questo apre una considerazione generale sul modo in cui l’Italia interpreta il suo ruolo europeo. Germania e Francia hanno difeso i loro interessi anche quando collidevano con l’europeismo ideologico. Noi invece abbiamo sempre avuto una posizione da diligente allievo dell’ideologia ufficiale, alla quale abbiamo sacrificato spesso e volentieri i nostri interessi nazionali.

C’è anche un’altra Europa, quella dell’alleanza di difesa che Uk, Polonia e Stati baltici hanno offerto all’Ucraina. Gli Usa non si oppongono, anzi la vedono con favore, ha detto l’ambasciatore Usa alla Nato Julianne Smith. Come commenta?

Sono le nazioni che storicamente hanno avuto i maggiori motivi di contrasto con il mondo russo. La loro linea è quella della guerra a oltranza, finora seguita anche dagli Usa. Ma ora a Washington sembrano emergere anche altri punti di vista, vedremo chi prevarrà. Non bisogna dimenticare che la linea occidentale oggi non è condivisa nel resto del mondo, dove si intrecciano accordi e alleanze di altro tipo. In prospettiva è un pericolo grave.

(Federico Ferraù)

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