“Al momento è escluso un governo di unità nazionale”, perché la “maggior parte” dei partiti non è d’accordo, l’unica strada è “la ricerca di una maggioranza più ampia e più chiara per agire”. Sono le parole usate da Emmanuel Macron che ha parlato, per la prima volta dopo la sconfitta alle legislative di domenica e dopo la consultazione con i leader delle altre forze politiche, ai francesi con un discorso tv. E ha aggiunto: “Ho fiducia nello spirito di responsabilità di tutti”, invocando, da un lato, la necessità di “costruire dei compromessi” e, dall’altro, facendo riferimento sia a un “patto di coalizione” sia alla “ricerca di maggioranze caso per caso”.



Un discorso, a tre giorni dallo schiaffo elettorale, che “è stato meno efficace di altri pronunciati alla nazione – osserva Francesco De Remigis, inviato a Parigi de Il Giornale -. Una furbata. Macron ha gettato la palla nel campo delle opposizioni”, ma è chiaro che il paese “si è cacciato in un’impasse” e il secondo mandato è partito in salita, con Mélecnchon già sul piede di guerra contro la premier Borne.



Dalle consultazioni con i leader dei partiti, il presidente francese Emmanuel Macron ha tratto la conclusione che “al momento è escluso un governo di unità nazionale”, perché “la maggior parte dei partiti” non è d’accordo. La politica francese vuole liberarsi di Macron?

Non mi pare che il problema sia “la politica”. Ma il segnale venuto dalle urne. Più di 7 cittadini su 10 si dicono soddisfatti per l’esito del voto, secondo un sondaggio Elabe/BfmTv che rileva un certo giubilo per la difficoltà in cui è sprofondato il secondo mandato Macron appena cominciato.



Che carte ha in mano il presidente per trovare “una maggioranza più ampia e più chiara per agire”? Un “patto di coalizione” o una “ricerca di maggioranze caso per caso” sono le due possibilità. Quale delle due è più praticabile?

Trovare maggioranze diverse per ogni provvedimento è la strada più difficile e incidentata, ma forse è la più praticabile a oggi. A partire dal pacchetto sul recupero del potere d’acquisto, dove il governo potrebbe accettare i suggerimenti finanche dei lepenisti. Le difficoltà ci saranno sulle riforme, pensioni ma non solo.

Macron ha aggiunto: “Dobbiamo tutti insieme imparare a governare e legiferare in modo diverso”, affermando che bisogna “costruire compromessi nuovi nel dialogo, nell’ascolto, nel rispetto: è quello che voi avete voluto e io ne prendo atto”. Il presidente ha capito che deve risintonizzarsi con il paese?

Per quanto si debba riconoscere a Macron una certa serietà nel suo percorso politico e di governo, il suo discorso a tre giorni dallo schiaffo elettorale alle legislative è stato meno efficace di altri pronunciati alla nazione. Una furbata, ha gettato la palla nel campo delle opposizioni. Con un penultimatum, per così dire.

Forse era troppo tardi per un mea culpa…

Infatti non c’è stato mea culpa. Anche perché il secondo mandato è appena iniziato. Ha dato l’idea dell’impasse in cui si è cacciata la Francia, che ora deve imparare a vivere in nuovi equilibrii, in cui le estreme non sono più sbertucciate o giudicate unfit.

Intanto Mélenchon è già partito all’attacco: “La premier Elisabeth Borne deve chiedere la fiducia all’Assemblea Nazionale e se non la ottiene deve dimettersi”. Probabilmente la Le Pen lo seguirà su questa strada. In questo clima il governo Macron rischia subito grosso?

Le Pen gioca la sua partita in autonomia, il suo è il primo partito di opposizione, e lei non andrà certo a rimorchio di un leader che non siede neppure in Assemblée. Il governo è di fatto in stand by fino a luglio, quando la premier, se sarà ancora al suo posto, pronuncerà il suo discorso di politica generale.

E se la Borne non dovesse ottenere la fiducia, che scenario si aprirebbe?

Non credo che si arriverà al punto di chiedere la fiducia. Se si punta a un accordo, a un contratto di coalizione, lo stallo si risolve prima. Si sta già trattando. Convocherà a breve i numeri uno dei gruppi parlamentari. E poi si vedrà. La fiducia sarebbe un gesto kamikaze allo stato attuale. Il melting pot politico passerà dal nodo Borne. Con un nome nuovo a Matignon. O con grandi “concessioni” alle opposizioni dall’attuale premier.

Possibile un nuovo ritorno alle urne?

La dissoluzione, o meglio lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, è un’arma costituzionale nelle mani del presidente. Ma a doppio taglio. A Chirac costò la coabitazione. Allo stato attuale a Macron conviene trovare compromessi, concedendo qualcosa ai partiti. Costi quel che costi.

E allora perché se ne parla?

A oggi la minaccia di scioglimento dell’Assemblée ha la stessa valenza della deterrenza nucleare nella crisi internazionale. E’ un’ipotesi, che nessuno in realtà vorrebbe vedere messa in pratica.

(Marco Tedesco)

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