La fiammata dei prezzi delle materie prime ha favorito i Paesi esportatori e penalizzato quelli vocati alla trasformazione come l’Italia. Questa l’indicazione emersa in occasione del VII Forum Agrifood Monitor dal titolo “Commodities e food & beverage. La filiera agroalimentare alla prova delle tensioni su materie prime agricole, energia, acqua”, promosso da Nomisma in collaborazione con CRIF.
I conti sono presto fatti: il nostro export alimentare è arrivato oggi a toccare le quota record di 60 miliardi di euro, spinto da una crescita del 15% incassata nel solo 2022. Ma il nostro Paese è carente di quelle materie prime – cerali, carne, latte e la lista potrebbe continuare – che servono alla nostra industria alimentare, di cui dunque storicamente ha sempre dovuto approvvigionarsi dall’estero. Il punto è che queste materie prime, sulla scorta della pandemia prima e soprattutto del conflitto russo-ucraino poi, sono state protagoniste di incrementi di prezzi stellari. Il risultato è che i costi per produrre i nostri prodotti trasformati sono conseguentemente lievitati, andando a erodere i guadagni provenienti dalle esportazioni.
La bilancia commerciale dell’Italia per il 2022 fa registrare quindi un segno rosso: dai 4 miliardi di euro del 2021 è tornata in negativo, dopo diversi anni di avanzo, di 1,4 miliardi di euro. E il fatto di muoversi in territorio negativo non rappresenta una buona notizia, perché – è la conclusione degli esperti di Nomisma – pone il Paese in una condizione di maggior precarietà e debolezza in contesti di estrema volatilità (sia dei prezzi, sia degli scambi commerciali) come quello attuale.
Ad avvantaggiarsi invece di questa dinamica sono stati i Paesi dove più si concentra la produzione di materie prime. Tra questi, va segnalato in particolare il Brasile. “Nel panorama dei top esportatori mondiali di prodotti agroalimentari, è il Paese che più ha guadagnato da questo contesto fortemente condizionato da tensioni geopolitiche e avversità climatiche – sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma -. Nell’anno da poco terminato ha messo a segno una crescita a valore del proprio export agroalimentare di oltre il 50%, superando i 126 miliardi di euro e conquistando così il secondo posto assoluto, dopo gli Usa, nel ranking mondiale”.
Fin qui, dunque, la fotografia dello scenario attuale. Che guardando avanti rischia purtroppo di complicarsi ulteriormente. A preoccupare è in particolare il futuro dell’Ucraina. Qui, infatti, le superfici seminate a cereali invernali che determineranno il raccolto 2023 risultano inferiori del 40% rispetto alla media del 2017-2021. E ancora peggio va se si guarda solo il mais, coltivazione per cui si prospetta una produzione di circa 21 milioni di tonnellate contro i 34 della media 2017-2021. E non è tutto. Sullo sfondo c’è la scadenza dell’accordo, prevista per il 18 marzo, per il “grano del Mar Nero”, stipulato da Kiev con Russia, Turchia e Onu.
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