Il valore del Made in Italy alimentare nel mondo supera i 145 miliardi di euro. Di questi però solo 46 miliardi rappresentano le esportazioni provenienti dal Bel Paese. I rimanenti 100 miliardi nutrono invece il cosiddetto italian sounding, quel fenomeno cioè con cui si identifica la diffusione di prodotti che presentano nomi, loghi, colori o slogan riconducibili all’Italia, ma che di fatto non nulla hanno a che vedere con l’autenticità dei nostri prodotti.
È chiaro che per l’Italia recuperare questo terreno, presidiato (indebitamente) dall’industria estera, rappresenterebbe un piatto molto ghiotto: significherebbe triplicare l’export. Il punto è però: come fare?
Tra le diverse strade percorribili che si aprono davanti alle strategie delle aziende e del sistema-Paese, c’è quella che passa per la valorizzazione dei prodotti Dop e Igp, utilizzati come ingredienti dall’industria della trasformazione. Un comparto molto vivace, che promette di rappresentare un volàno per spingere l’intero comparto del food tricolore. Lo confermano le evidenze emerse da una ricerca condotta dalla Fondazione Qualivita attraverso un’indagine diretta a tutti i Consorzi di tutela riconosciuti e alle informazioni fornite dal Ministero delle politiche agricole per le Dop Igp prive di Consorzio autorizzato.
L’indagine rivela che la sinergia fra queste due “anime” del food italiano è andata consolidandosi negli ultimi anni e rappresenta una via di crescita sempre più rilevante per molte produzioni territoriali di qualità e per le imprese della trasformazione. Mette del resto a fattore comune due asset portanti del sistema agroalimentare: da un lato, quello dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli Dop e Igp, che conta 840 filiere a qualità certificata in grado di coinvolgere 180.000 operatori in tutta la penisola per una produzione che sfiora i 17 miliardi di euro; dall’altro, quello dell’industria e dell’artigianato alimentare nazionale, un comparto da oltre 81.600 imprese con un fatturato di 145 miliardi di euro.
Un mix che, dati alla mano, ha dimostrato di funzionare: stando ai risultati della survey, il 68% dei Consorzi di tutela risultano “attivi”, hanno cioè concesso almeno un’autorizzazione all’utilizzo della propria IG come ingrediente, con una prevalenza nel caso del cibo (73%) rispetto al vino (58%). E questo dinamismo ha portato a contare ben 13.000 autorizzazioni rilasciate negli anni dai Consorzi di tutela e dal Mipaaf. Di queste, 4.600 sono risultate attive nel 2020, coinvolgendo circa 1.600 imprese della trasformazione.
E non è tutto. A dare la misura di quanto il fenomeno sia ormai significativo, entrano in gioco anche altri numeri: sempre secondo la ricerca, infatti, oltre la metà dei Consorzi destina alla trasformazione tra l’1% e il 10% della produzione. Ma va detto anche che per 1 Consorzio su 5 questa voce arriva a incidere per oltre il 10% della produzione certificata totale. Si stima così che la produzione Dop e Igp destinata a prodotti trasformati abbia ormai raggiunto quota a 260 milioni di euro, un valore che supera il miliardo di euro per l’industria e l’artigianato alimentare.
“L’alto livello qualitativo, la bontà e la certezza dell’origine sono un valore aggiunto delle nostre Dop Igp – evidenzia il sottosegretario alle Politiche agricole alimentari e forestali, sen. Gian Marco Centinaio -. Un valore aggiunto che si mantiene tale anche quando diventano ingredienti di prodotti trasformati e si traduce in un plus ulteriore per i brand più famosi, che – a loro volta – diventano uno strumento per far conoscere a un numero sempre maggiore di consumatori le eccellenze del nostro agroalimentare”.
Italia, prima della classe
Ma le buone notizie non finiscono qui. A giocare, in prospettiva, a favore della crescita del combinato disposto tra Dop/Igp e industria di trasformazione, può infatti intervenire anche il quadro giuridico di riferimento. Dall’indagine della Fondazione Qualivita emerge infatti chiaramente che, a fronte di un quadro normativo europeo frammentato, l’Italia vanta un “primato” in termini di regolamentazione, dal momento che è l’unico Paese ad aver introdotto un meccanismo di autorizzazione previsto in capo ai Consorzi di tutela riconosciuti – o, in mancanza, al Mipaaf – per conferire una maggiore tutela alle IG. Un primato italiano che “si deve – rileva sempre lo studio – al lavoro comune svolto dalla rete dei Consorzi, dal mondo dell’industria alimentare e dal Mipaaf, in particolare dalla DG per la promozione della qualità e dal PQAI che, in questi anni, hanno provveduto a colmare le principali lacune giuridiche delineando un quadro di riferimento e modalità operative chiare per gli operatori del settore.
“I Consorzi di tutela, insieme alle istituzioni – afferma ancora Centinaio – non solo mettono in campo iniziative volte a tutelare le denominazioni, ma sono impegnati anche a far sì che la qualità dei nostri prodotti resti alta e che Dop e Igp siano conosciute e apprezzate da un pubblico più vasto. In un momento in cui c’è una crescente attenzione del consumatore verso l’origine delle materie prime e una sempre maggiore richiesta di Made in Italy il sodalizio con l’industria può accrescerne notorietà e distribuzione”.
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