L’uragano della globalizzazione, amplificato dalla crisi finanziaria di 10 anni fa, ha strutturalmente cambiato i caratteri dell’economia mondiale e quindi anche la morfologia socioeconomica dei territori italiani. In questo nuovo contesto l’appeal del Made in Italy nel mondo sta continuamente crescendo, come parallelamente sono ancora insufficienti le normative che tutelino efficacemente la produzione effettivamente fatte in Italia rispetto ad altri prodotti che si fregiano di questo etichettatura pur non avendone i requisiti, ma con un beneficio di marketing enorme.



Un recente studio di Prometeia documenta che in Italia le imprese a marchio hanno recuperato i livelli di fatturato pre-crisi e viaggiano oggi su margini migliori della media. Il fatturato generato dalle oltre 20mila imprese a marchio vale più di 165 miliardi di euro, il 60% del giro d’affari dei rispettivi settori. Fra i mercati più attrattivi, Prometeia ritiene che quelli con le prospettive di crescita migliori per il nostro export fra il 2020 e il 2023 siano India (+86%), Emirati Arabi (+39%) e Sud Africa (+29%). Miglioramenti consistenti sono attesi anche in Brasile (+28%), Australia (+25%), Sud Corea (+25%) e Messico (+22%).



L’interesse al marchio italiano testimonia nella concretezza l’attrazione di cui gode oggi il Made in Italy. È altresì evidente che nella nuova divisione del lavoro mondiale prodotta dalla globalizzazione le produzione standard ad alta intensità di manodopera non qualificata si è concentrata in Paesi emergenti e hanno abbandonato progressivamente i Paesi delle economie che erano già sviluppate come l’Italia. Un’altra evidenza che si sta fortemente accentuando negli ultimi tempi è la dinamica di acquisizione di aziende italiane con brand riconosciuti da parte di imprese e fondi esteri che sta cambiando le strutture delle governance che non sono più territoriali con tutti i rischi conseguenti di delocalizzazione delle produzioni.



È di palese evidenza pertanto che il futuro della gloriosa manifattura italiana è legata imprescindibilmente al presidio di quelle quote del mercato mondiale che ricercano una qualità del prodotto che si innova costantemente. È un cambiamento epocale che richiede una risposta adeguata per salvaguardare e sviluppare tradizioni di competenze e manualità locali che potrebbero essere definitivamente perse abbandonando i territori della provincia italiana a un veloce e pericoloso declino socio-economico.

Sulla base degli scenari evidenziati ancorarsi al valore riconosciuto del Made in Italy appare assolutamente strategico in quanto la manifattura italiana potrà essere salvaguardata se si ha il coraggio di avere una visione che non sia di breve periodo, opponendosi a chi questa visione non ce l’ha. Il primo elemento di questa visione è il sostegno costante al capitale umano che la tradizione della manualità italiana ha tramandato e che richiede di essere sempre attualizzato sulla base delle costanti innovazioni tecnologiche in corso. Questo investimento sulla formazione continua è assolutamente prioritario.

Il secondo elemento di una nuova necessaria visione strategica è quello della tutela del Made in Italy che deve essere affrontato con una priorità assoluta della politica italiana in quanto ne va del futuro del nostro Paese e non può essere di ostacolo qualche industriale italiano che antepone l’interesse di breve periodo della propria azienda a quello dell’intero Paese intralciando le azioni per la tutela del made in. Sui mercati c’è una grande richiesta di manifattura italiana che deve essere tale anche nella sostanza del prodotto se si vuole conservare la qualità, non bruciando nel tempo l’immagine del Made in Italy e quindi garantendo un futuro di lavoro e di benessere ai popoli delle province italiane.

Naturalmente in questa battaglia è sbagliato essere integralisti non riconoscendo la crescente interdipendenza creata dalla globalizzazione, ma occorre vincolare il riconoscimento di prodotto italiano alla prevalenza di lavorazioni svolte in Italia. Non si entra nel merito degli strumenti legislativi per raggiungere tali obiettivi che naturalmente devono essere armonizzati a normative sovranazionali, in particolare europee. Quello che si chiede alla politica è di dare una priorità assoluta a questo tema, dedicare meno tempo ai social, impegnarsi di più nelle commissioni europee per raggiungere quelle necessarie mediazioni per tutelare al meglio lo sviluppo del lavoro in Italia attraverso la valorizzazione del Made in Italy.

Anche i vertici nazionali delle rappresentanze imprenditoriali dovrebbero sempre ricordarsi che il loro compito è quello di sostenere l’interesse di tutti gli imprenditori e lavoratori italiani e non quello di breve periodo di qualche industriale. Occorre una responsabilità di tutti su questo tema strategico per lo sviluppo futuro del nostro Paese.