Prendete un brand ultracentenario del nostro made in Italy, il maggior proprietario terriero italiano e la più grande organizzazione di agricoltori d’Italia ed Europa. Aggiungete la “spinta” di un consumatore che chiede sempre più spesso cibi prodotti in Italia. Completate con l’aggiunta delle migliori tecnologie applicate all’agricoltura. Il risultato non potrà che essere sorprendente, come quello che sta ottenendo Noberasco, da oltre un secolo leader nella frutta secca di qualità, grazie alla partnership virtuosa con Bonifiche Ferraresi e Coldiretti: la rinascita di filiere abbandonate e la riscoperta di una vocazione per la frutta secca che il nostro Paese aveva perduto. «L’idea che abbiamo sviluppato inizialmente con Coldiretti è stata quella di recuperare tradizioni che si erano perse, come le coltivazioni delle arachidi, che nel secondo dopoguerra avevano estensioni importanti nel livornese e nel ferrarese», spiega Mattia Noberasco, Amministratore Delegato del gruppo di famiglia, che oggi fattura 115 milioni di euro.



Poi cos’è successo?

I player del mercato negli anni hanno progressivamente abbandonato le produzioni italiane per andare ad approvvigionarsi all’estero: la richiesta di competitività e volumi ci ha spinti tutti a diventare selezionatori e importatori da ogni angolo del pianeta, anche per far fronte all’arrivo di produttori esteri, in primis egiziani, che proponevano prezzi incredibilmente bassi. Il mercato si è spostato verso di loro e il sistema Paese non è riuscito a difendere le nostre peculiarità.



E adesso, da dove si ricomincia?

Dal seme originario autoctono italiano, che abbiamo riscoperto e intorno al quale è nato il progetto che stiamo sviluppando con Coldiretti e Bonifiche Ferraresi. Una collaborazione virtuosa in cui ognuno mette il proprio know-how, con l’obiettivo comune di far rinascere e valorizzare la filiera.

Concretamente cosa farete?

I nostri tecnici stanno facendo ricerche, selezione e controlli per elevare livello qualitativo dei semi. Li pianteremo in terreni che appartengono a soci di Coldiretti e Bonifiche Ferraresi. Con questi ultimi stiamo anche ragionando per realizzare uno stabilimento di prima trasformazione dell’arachide (dove realizzare le fasi di pulitura, lavatura, asciugatura e prima essiccazione). L’obiettivo è arrivare alla miglior materia prima possibile, da trasferire poi ai nostri stabilimenti per la tostatura.



Il progetto riguarda solo le arachidi?

No, stiamo ragionando anche sulle mandorle, per le quali partiremo con un progetto in primavera. Con Coldiretti ci stiamo impegnando anche sulla filiera del fico di Cosenza Dop e abbiamo un progetto ambizioso per la prugna italiana: stiamo definendo i dettagli con Bonifiche per impiantare nuovi frutteti.

Un progetto di lungo periodo…

Ci crediamo e ci stiamo impegnando molto per poter arrivare ad avere nella nostra offerta anche una linea di prodotti completamente italiani. Oltre all’origine, garantiamo una completa valorizzazione della filiera: abbiamo fatto accordi a cinque anni con gli agricoltori per garantire loro prezzi minimi che riconoscano il loro impegno e la loro fatica e possano essere giustamente remunerati per il loro lavoro.

Questo significa che i prodotti costeranno di più?

Abbiamo chiesto all’Università di Pollenzo di aiutarci a spiegare spiegare ai consumatori il lavoro che stiamo facendo sulle filiere. Attraverso le più moderne tecnologie siamo in grado di tracciarle e renderle trasparenti, raccontando la storia che sta dietro ogni prodotto. Lo storytelling è fondamentale perché il consumatore capisca che se paga un po’ di più per un certo prodotto, è perché dietro c’è un enorme lavoro di valorizzazione delle origini, del territorio e di chi lo coltiva.

Siete perfettamente in linea con l’Agenda 2030 dell’Onu.

Per raggiungere i goals di sostenibilità proposti dalle Nazioni Unite abbiamo anche certificato un metodo, il Metodo Noberasco, che prevede una serie di operazioni finalizzate a coniugare la sostenibilità economica con quella sociale e ambientale. Rientrano nel metodo i sistemi di tracciabilità delle filiere, ma anche quelli legati all’agricoltura di precisione che consente di ridurre gli sprechi, di usare i fertilizzanti solo quando servono, di avere in generale un approccio alle coltivazioni più sostenibile. Siamo convinti che il mondo possa cambiare, solo se cambiano le nostre aziende: e noi vogliamo fare la nostra parte. Dal campo al prodotto finito. Non a caso abbiamo appena completato il restyling dei nostri imballaggi e da febbraio di quest’anno tutti i nostri prodotti sono confezionati con materiale riciclabile, in plastica o carta.

Che impatto ha avuto il lockdown sulla vostra categoria di prodotti e come è cambiata la domanda dei consumatori?

Noi siamo stati tra i primi nel 2012 a intercettare il trend di consumo ‘on the go’ di frutta secca, che abbiamo trasformato in snack da mangiare fuoricasa. Con la pandemia questo filone di business si è azzerato dalla sera alla mattina, ma in compenso è cresciuto in modo esponenziale il consumo di frutta domestico.

Per esempio?

Va molto il comparto della frutta morbida, come le prugne. Ed è esploso quello degli ingredienti per le ricette casalinghe, come le mandorle che per noi sono cresciute, a volume, del 150%! Stanno andando molto bene anche le noci sgusciate e i pinoli non mediterranei, quindi più economici, perché oggi c’è molta più attenzione al prezzo al chilo. In generale sono andati bene e continuano a crescere i formati-scorta. Noi eravamo già pronti prima del lockdown a lanciare queste confezioni e siamo stati tempestivi nel rispondere alla nuova domanda.

Durante il lockdown avete anche acquisito un’azienda, Noccioltost. Non è stato un azzardo, considerato il momento?

È stata una scelta coraggiosa, ma vincente. Noccioltost era un nostro fornitore storico, specializzato nella tostatura di qualità. Grazie a questa acquisizione adesso lanciamo un aperitivo in vaschetta da degustare in casa. Completiamo così la nostra offerta di appetizer con un’altra tipologia di prodotto che cresce a doppia cifra. Come sempre differenziandoci per la qualità della materia prima e della tostatura. I primi riscontri sono stati assolutamente positivi.

(Maria Cristina Alfieri)

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