Una madre ha sottratto la figlia la padre, portandola in Israele, a Tel Aviv; tuttavia, per i giudici della prima Corte di Cassazione, non si tratta di sottrazione internazionale di minore, ma di semplice controversia sull’affidamento. Questa la sentenza sottoscritta dalla Suprema Corte, che ha accolto il ricorso della donna, cittadina israeliana e francese, e ha chiesto alla corte d’Appello di Roma con un collegio diverso di pronunciarsi.



Una vicenda balzata agli onori delle cronache in quanto ricorda quella che vede come protagonista il piccolo Eitan Biran, unico superstite della strage della funivia del Mottarone. Come sottolinea l’agenzia stampa Adnkronos, era stato il papà, italiano, a chiedere aiuto alla giustizia: la corte d’Appello capitolina nel luglio 2019 riconobbe la “residenza abituale della minore in Italia, precisamente a Roma”, prima che la donna si trasferisse nel suo Paese, “sottraendosi al giudice italiano e portando via la figlia al padre”.



MADRE PORTA FIGLIA IN ISRAELE, CASSAZIONE: “NON SI TRATTA DI SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORE”

A questo punto, ha riferito ancora Adnkronos, facendo menzione di tre differenti sentenze della Cassazione, gli ermellini hanno rilevato che si tratta di un caso non di sottrazione internazionale di minore, ma di “controversia concernente l’individuazione del miglior collocatario, individuazione da effettuarsi nell’interesse esclusivo, della minore, anche a costo che ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario”.

Ecco allora che a prendere la decisione deve essere un nuovo collegio della corte d’Appello di Roma. L’avvocato della madre della bambina sottolinea la correttezza della decisione della Cassazione: “La piccola ha vissuto tre anni a Roma, in Israele ha altri parenti, è cresciuta lì e pretendere di riportarla in Italia senza tener conto delle sue condizioni è senza senso. Il tribunale e la corte d’Appello non si sono preoccupati affatto di quale fosse il vero interesse. A me la sentenza sembra confacente le norme e l’orientamento attuale nazionale e internazionale. Anche il caso Eitan, con il piccolo ancora a Tel Aviv, dimostra che stanno vedendo di capire cosa è veramente meglio per il bambino”.