A Bari c’è la mafia. Come a Palermo, Napoli, nell’Emilia a Milano e nel Veneto. La mafia, la camorra, la sacra corona o la ndrangheta sono fenomeni storici che hanno da sempre un modo molto preciso per fare affari. Intrufolarsi nel contesto politico e portare voti a chi conviene. Di destra o di sinistra conta poco. Talmente poco che vale solo il principio di ricattabilità e gestibilità dei politici eletti coi loro voti.
E poiché questo fenomeno è un tremendo cancro che affligge il Paese, le norme sono diventate brutali dopo che lo Stato si è accorto che con i mezzi normali non riesce a battere questa metastasi eversiva.
Ora, capita che si attivi la legislazione quando un’inchiesta fa sorgere il sospetto che un clan abbia votato per qualcuno. In Campania i comuni sciolti negli ultimi anni sono diverse decine, amministrate dal centrodestra e dal centrosinistra. Spesso si sono sciolti enti sul sospetto e spesso ci sono finiti di mezzo amministratori inconsapevoli. È questo un buon motivo per criticare lo strumento?
Non ancora, purtroppo. Troppo invasivo e troppo grande il potere che i clan ancora esercitano su tanti territori. E se a Bari si decide di mandare una commissione di accesso, l’unica reazione da avere è dire “ben venga”. Che poi si voglia pensare che si è usato un siffatto potere per fare lotta politica, è legittimo. Il sospetto ed il dibattito sul punto è divisivo, ma alla fine conterà quello che diranno gli ispettori e quello che la magistratura accerterà. Se mai, infatti, vi fosse un qualunque provvedimento, gli amministratori potrebbero impugnarlo al TAR ed al Consiglio di Stato.
Quello che non si dovrebbe accettare è l’idea che un atto del genere sia una offesa alla città o a chi la governa. Questo perché le amministrazioni locali subiscono, più di altre, improprie e non volute infiltrazioni e può esservi un giudizio che riguarda alcune condotte e non le condotte di tutti.
Per intenderci, se si dimostrerà che la mafia barese ha condizionato un pezzo di amministrazione non vuol dire che abbia condizionato tutti. E togliersi dal percorso di verifica che la legge prevede a priori non è gran cosa e crea anche un precedente poco edificante. Non vi può essere, su questo tema, altro che una piena ed assoluta collaborazione che deve venire da destra e da sinistra senza se e senza ma, non vi è parte politica immune alle brame dei clan. Non vi sono uomini integerrimi tutti da un lato e farabutti dall’altro. Perché ragionando così non si comprende il fenomeno-mafia, che blandisce ed insegue sempre e solo chi ha il potere e ha come solo obiettivo quello di sedersi al tavolo delle spartizioni indossando la maschera che più conviene. È un potere subdolo e dotato di un’intelligenza antica, contro cui ancora combattiamo nonostante migliaia di morti, centinaia di servitori dello Stato ammazzati e miliardi spesi per contrastare questa devianza. Il solo fatto che ancora oggi un sistema criminale relazionale basato sul modello delle familiae romane non sia stato debellato nonostante i sistemi di controlli bancario, i trojan, le migliaia di uomini delle forze dell’ordine ci deve far capire che, purtroppo, nessuno può dirsi immune, come ente, a priori. Non le erano i comuni sciolti prima, le Asl commissariate per mafia, non lo sono nei modi neppure i professionisti dell’antimafia, che a volte diventano interpreti nei modi e nelle forme di ciò che all’apparenza combattevano.
Poi si può discutere delle opportunità e dei tempi. Ma nessuno è immune a verifiche e accertamenti, neppure il comune di Bari. Fare un caso di un atto antimafia è un gesto poetico, da un lato, ma dall’altro ci dice anche che abbiamo ancora tanta, forse troppa, strada da fare prima di sconfiggere questo mostro.
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