La Corte Costituzionale, con sentenza depositata oggi ha spiegato perchè nelle passate settimane ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, primo comma, dell’ordinamento penitenziario dove viene contemplato che in determinate condizioni il giudice possa concedere al detenuto per mafia il permesso premio. Secondo quanto stabilito dalla Consulta e reso noto da RaiNews, dunque, “Il detenuto per un reato di associazione mafiosa o di contesto mafioso può essere ‘premiato’ se collabora con la giustizia ma non può essere ‘punito’ ulteriormente, negandogli benefici riconosciuti a tutti, se non collabora”. In tal caso, la presunzione di pericolosità sussiste ma non in modo assoluto e viene meno se il magistrato di sorveglianza ha appurato l’esistenza di elementi che escludono collegamenti in corso tra il detenuto e l’associazione criminale o il rischio che questi possano essere ripristinati. Non è sufficiente, dunque, la mera “buona condotta” o la partecipazione ad un percorso di rieducazione ma la presenza di elementi che siano in grado di dimostrare il venir meno del vincolo imposto dal sodalizio mafioso.



CONSULTA: “MAFIOSO CHE NON COLLABORA NON SI PUÒ PUNIRE”

I giudici della Consulta hanno ritenuto incostituzionale l’articolo 4 bis poichè “in contrasto con i principi di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena” e tale incostituzionalità, spiega Repubblica, è stata estesa a tutti i reati compresi nel primo comma del suddetto articolo oltre a quelli di associazione mafiosa e di “contesto mafioso”, anche puniti con pena diversa dall’ergastolo. Prima della sentenza depositata nella giornata odierna si presumeva quindi che la mancata collaborazione da parte del mafioso con la giustizia fosse indice di rapporti ancora esistenti con la criminalità organizzata. Una presunzione assoluta superabile solo con la stessa collaborazione che portava il giudice di sorveglianza a dichiarare inammissibile la richiesta di benefici previsti dall’ordinamento da parte di detenuti non collaboranti. Le questioni di legittimità costituzionale, si precisa, “non riguardano il cosiddetto ergastolo ostativo, su cui si è di recente pronunciata la Corte di Strasburgo”. Quindi, spiega ancora la Consulta, “le questioni sollevate davanti alla Corte non riguardano chi ha subito una condanna a una determinata pena ma chi ha subito una condanna (nella fattispecie all’ergastolo) per reati cosiddetti ostativi, in particolare di tipo mafioso”.

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