Nipote di Gianni Agnelli e figlia di Margherita Agnelli e di Alain Elkann, nonchè sorella di John Elkann e di Lapo Elkann, Ginevra Elkann debutta alla regia con Magari, presentato in Festa Mobile al Torino Film Festival 37 dopo il battesimo in apertura a Locarno. Un ritratto di famiglia vagamente autobiografico che racconta la storia dei fratelli Alma (Oro De Commarque), Jean (Milo Roussel) e Sebastiano (Ettore Giustiniani): i tre ragazzini vivono a Parigi con la madre (Céline Sallette) e il suo nuovo compagno, ma devono passare una vacanza obbligata con il padre sceneggiatore Carlo (Riccardo Scamarcio) e la sua compagna/sceneggiatrice Benedetta (Alba Rohrwacher). Il viaggio a Sabaudia rimette in discussione i loro rapporti, tra tensioni che nascono e la speranza dei figli – Alma in particolare – che i due genitori possano tornare insieme. E alla fine verrà svelata l’anima dei protagonisti…
Magari unisce due sentimenti lontanissimi come la felicità e la malinconia, un ritratto in parte autobiografico visto attraverso gli occhi dei ragazzi: i tre bambini sognano che la famiglia si riunisca, come tutti i piccoli di genitori separati. Possiamo dire che si basa sui ricordi e guarda alle fantasie sulla famiglia perfetta che inseguiamo, soprattutto da bambini. Al centro dell’opera prima di Ginevra Elkann il rapporto di un padre single degli anni Novanta non abituato a stare con i propri figli: Carlo è egoista ma li ama, vuole prendersi cura di loro ma li tratta da adulti, dando vita a siparietti quasi comici. La distanza tra i due genitori fa soffrire i tre ragazzini, che cercano di fuggire via di fronte ai primi dolori della vita: c’è chi si rintana nel “magari tornano insieme”, ma anche chi è realista e sa benissimo che non torneranno mai l’uno con l’altra. Una prima tappa di crescita, un misto di felicità e tristezza che li porta a reagire in maniera differente.
Non sappiamo dove finisce il vissuto e dove comincia il romanzato – interessante il cameo di due famigliari, il padre Alain e il fratello John -, ma un dato è certo: i genitori della regista si sono separati quando era molto piccola e in Magari troviamo molti temi che la riguardano da vicino. Uno su tutti la presenza costante della religiosità, quasi ossessiva. Girato discretamente, il lungometraggio ha un grosso difetto: non c’è pathos, a livello emozionale non riesce a raggiungere e coinvolgere lo spettatore. Nulla da dire sulla costruzione dei personaggi – degno di nota il personaggio di Benedetta -, ma non c’è mai il cambio di passo: Ginevra Elkann porta a casa il compitino ma non osa, si limita a raccontare una storia di famiglia senza climax. Non rimane nulla, se non un film discreto.
Dopo l’ottimo cortometraggio Vado a messa, la 40enne si mette in gioco ma non convince pienamente. C’è anche da dire che non sono moltissimi i registi in grado di sfornare capolavori al loro primo film (Laszlo Nemes, giusto per citare uno dei pochi esempi): Magari – nelle sale italiane nel prossimo marzo 2020, distribuito da BIM – è un punto di partenza, con più coraggio i risultati saranno ben più soddisfacenti.