Il mondo giustizia non smette mai di sussultare, attraversato da un perenne bradisismo. Mentre iniziano a squillare le trombe che annunciano un imminente scontro tra il ministro della Giustizia e la magistratura, si alza la voce dell’unico togato realmente indipendente eletto al Csm che annuncia come il correntismo sia lontano dal dirsi in ritirata. L’affermazione arriva dal giudice veronese Andrea Mirenda, l’unico consigliere che non appartiene ad alcun gruppo associativo all’interno dell’attuale organo di autogoverno della magistratura.
Per chi si fosse distratto, giova ricordare che la riforma della legge elettorale del Csm, coniugata nelle forme volute dall’ex ministra Cartabia ed entrata in vigore lo scorso anno, aveva come obiettivo principale quello di togliere potere ai gruppi associativi delle toghe; obiettivo che da queste pagine avevamo annunciato come non facilmente realizzabile in considerazione delle scelte operata dall’allora Governo di larghe intese. Non a caso, già nella immediatezza delle elezioni, si percepì che la modifica del sistema elettorale della componente togata del Csm, un mix di maggioritario e proporzionale, aveva evidentemente del tutto fallito nello scopo perseguito: sui 20 posti a disposizione, 19 erano stati attribuiti a magistrati esponenti dei vari gruppi associativi, con l’unica eccezione appunto di Mirenda, arrivato alla nomina di consigliere in modo alquanto rocambolesco ovvero dopo essere stato sorteggiato per la quota che la legge ha previsto nel proporzionale.
Ebbene, proprio Mirenda in una recente intervista ha dichiarato come lo strapotere delle correnti sia ancora forte, citando come esempio due delle ultime decisioni della Commissione per gli incarichi direttivi, destinate ad andare a breve in plenum: quella relativa al nuovo procuratore di Firenze e l’altra relativa al nuovo procuratore generale di Bologna. Per ognuno di questi due incarichi, ha precisato, le correnti hanno infatti proposto un proprio candidato senza cercare un accordo su un nome condiviso, con ciò testimoniando, a suo dire, la voglia di mettere una “bandierina” e dimostrare all’esterno il proprio potere.
Per uscire da questa situazione, ha inoltre affermato Mirenda, l’unica possibilità sarebbe quel sorteggio temperato dei componenti togati del Csm di cui a lungo si è parlato e che fu strenuamente osteggiato dal Pd. A tali dichiarazioni hanno fatto eco quelle del senatore Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia a Palazzo Madama, il quale ha annunciato come stiano per iniziare le audizioni in Commissione giustizia proprio finalizzate allo scopo di cambiare la legge sull’ordinamento giudiziario, condividendo in sostanza le osservazioni formulate da Mirenda.
La riforma dell’ordinamento giudiziario è tuttavia materia quanto mai incandescente. Ed infatti, nel cronoprogramma presentato la scorsa settimana dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, essa non compare. D’altronde, i venti di guerra già soffiano con minacciosa forza. Arrivano infatti voci della proclamazione di un nuovo sciopero delle toghe, dopo quello, a dire il vero poco incisivo, attuato contro la riforma Cartabia. Il motivo sarebbe la presentazione delle proposte di riforma annunciate da Nordio, che dopo una lunga attesa e molti rinvii dovrebbero approdare in Consiglio dei ministri a stretto giro.
Dai corridoi di via Arenula si sussurra che le iniziali preoccupazioni della parte meloniana del Governo per il rischio di un conflitto con le toghe siano state superate così che, sulla falsariga del referendum sulla giustizia dello scorso anno, il Governo voglia varare interventi sulla custodia cautelare, le intercettazioni e l’abolizione di fatto dell’abuso d’ufficio.
Dall’altra sponda del fronte, le toghe si sono date appuntamento a Roma per la giornata odierna per discutere dell’iniziativa disciplinare promossa dal ministero contro i magistrati milanesi che avevano mandato l’imprenditore russo Artem Uss ai domiciliari, da dove poco dopo è fuggito. L’incontro sarà tuttavia l’occasione ideale per discutere dell’atteggiamento del Governo, ritenuto illiberale dalle toghe, secondo quanto dichiarato in un’intervista a Repubblica dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, che ha già proclamato lo stato di agitazione, con riserva di adottare iniziative ulteriori e più incisive. Tuttavia, se il tema dell’ispezione disposta dal ministro unisce le diverse anime della magistratura, tutte pronte a solidarizzare con i magistrati milanesi e a polemizzare con Nordio, non si paleserebbe la medesima compattezza sull’ipotesi astensione, soprattutto alla luce del flop della volta precedente.
I soliti ben informati raccontano di una diffusa consapevolezza che in questo giro il Governo non potrà mostrarsi troppo dialogante; viceversa, la vera trattativa cui ambire è quella che ruota intorno agli altri progetti dell’esecutivo, come quello, guarda caso, per il sorteggio della componente togata del Consiglio superiore della magistratura e quello relativo alla separazione delle carriere e al fascicolo del magistrato.
Insomma, la partita sta per iniziare. Con l’assemblea di oggi è dunque prevedibile che l’Anm cerchi di fare pressione sull’azione, più futura che presente, del Governo, che finora, in tema di giustizia, non si è dimostrato particolarmente coraggioso, se non nei proclami, limitandosi in realtà a misure eccezionali, dettate da un’urgenza punitiva ispirata dalla necessità di dover dare il classico segnale “politico” rivolto all’elettorato della destra meloniana. L’obiettivo, alquanto arduo, sarebbe ora quello di concentrare gli sforzi su una vera riforma di stampo liberale, invocata dalla componente forzista del Governo e in parte anche dalla Lega, a metà strada tra le due forze di maggioranza.
Il pacchetto in arrivo dovrebbe prevedere l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, collegato ad una più ampia riforma dei delitti contro la Pubblica amministrazione, così come richiesto dal partito di Salvini, che riguarderebbe anche una modifica del reato di traffico di influenze illecite e misure a tutela della riservatezza di persone terze, estranee all’indagine. Si parla poi dell’introduzione del contraddittorio che in taluni casi dovrebbe precedere l’emissione della misura cautelare oltre che la creazione di un gip collegiale nel caso di misure cautelari privative della libertà personale. Infine, il Governo sembra intenzionato a limitare il potere del pm di impugnare le sentenze di assoluzione per alcuni reati, superando le obiezioni espresse dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 del 2007 sulla legge Pecorella, che stabiliva l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento.
Le proposte, solo in parte convincenti, dovranno però soprattutto scontrarsi con la cronica carenza di magistrati, più che con le resistenze dell’Anm. Ma, come detto, siamo solo alle prime schermaglie. La vera posta in gioco è ben altra e non pare, ancora una volta, essere la lungaggine dei processi e la qualità del servizio giustizia che si rende ai cittadini.
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