Il 15 settembre è uscito nelle sale italiane (poche) Maigret, con la regia di Patrice Leconte (Ridicule, L’uomo del treno, Confessioni troppo intime) e l’interpretazione di Gerard Depardieu nelle vesti del famoso commissario del Quai des Orfèvres parigino.

Nel cinema la figura di Maigret l’abbiamo gustata con Jean Gabin (tre film) che forse peccava nella corporatura e nella cravatta storta, ma non sicuramente nel modo di porsi. Negli sceneggiati di nonna Rai Gino Cervi è stato superbo e amato da Simenon. Poi  abbiamo visto nei film per la tv  (ben 54 episodi) un bravo, per me molto, Bruno Cremer.



Due sassolini me li tolgo. Anche Rowan Atkinson, il famoso Mr. Bean delle comiche, ha vestito i panni del pulotto, ma nonostante i suoi sforzi e un discreto successo ottenuto nel Regno Unito (i produttori della miniserie in quattro puntate erano inglesi) rimane troppo legato nell’immaginario collettivo  all’uomo delle gag televisive. In Italia nel 2004 Canale 5 ha trasmesso due film tv, massacrati dalle critiche degli appassionati e dagli ascolti, con un Sergio Castellitto inadeguato sotto tanti aspetti, non solo fisici. E ora abbiamo Depardieu.



In un articolo del 2019 avevo scritto con con estrema certezza che poteva essere un ottimo Maigret. Conosceva la letteratura di Simenon e aveva affermato:

Mi piace il suo istinto, la sua capacità di ascolto. Maigret è anche il suo silenzio. E in questa sua dimensione ritrovo molto di me oggi e del mio desiderio di quiete, di solitudine… 

Simenon fa parlare Maigret anche con i suoi silenzi.

E Depardieu sapeva benissimo che interpretare il commissario più famoso del mondo non era una quisquilia.

Il film prende spunto dal romanzo Maigret e la giovane morta (1954) con un adattamento abbastanza libero e particolare. Non vi è il piagnucoloso e sfigato agente Lognon e tutto gira attorno al nostro commissario. Il film è stato definito crepuscolare dallo stesso regista e da quasi tutti i critici.  Maigret ha l’aria stanca, malinconica, spossata, non fuma la sua pipa e il dottore gli chiede:



Non fuma, come si sente?

Maigret: Come nudo.

Dottore: Mangia?

Maigret: Mi alimento.

Forse pensa alla pensione. Anche i colori azzurro/grigio con cui è stata virata la pellicola ci fanno intendere questo.

Direi che questo film è un compendio generale della sua vita: ci mostra il carattere, il suo modo di ragionare, di agire, la sua umiltà e umanità che traspare in tutti romanzi.

Una giovane donna viene ritrovata morta, non vi sono documenti, nulla, un fantasma e Maigret all’inizio dell’indagine  è mentalmente avvolto nella nebbia e nell’apatia, sintesi di ciò che ho descritto in precedenza rispetto al suo stato d’animo. Ma pian piano, non demorde, vaglia tutti i  dettagli e, come nei romanzi, s’immerge in tutto ciò che riguarda la vittima: vestiti, oggetti personali, camera. Cerca di immedesimarsi con la giovane: le sensazioni, il pensiero, i ragionamenti, di esplorare l’intimo della vittima e tutto questo prima di indagare i colpevoli.

Incontra casualmente una ragazza scappata di casa che somiglia per abitudini e vita alla giovane assassinata. La tampina perché conoscendo lei può arrivare a conoscere la vittima nei suoi aspetti reconditi.

Ma il nostro, si prende anche a cuore la sua vicenda di sbandata. E qui traspare la sua umanità.

George Simenon afferma: A Maigret ho dato una regola, non bisognerebbe mai togliere all’essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti.

La giovane morta e quella incontrata, di cui si prende cura, fanno emergere in lui un dolore mai sopito, Maigret vede in loro la figlia mai avuta, morta durante il parto che avrebbe ora la stessa età.

“Non voleva ammetterlo, ma quello che lo lasciava più perplesso era il volto della vittima… Sembrava una bambina, una bambina di cattivo umore”.

E questo lo vive insieme alla moglie, compagna silenziosa come lui e molto attenta alle preoccupazioni lavorative del marito, che condivide in maniera discreta (averne così…).

Solo in casa e in commissariato si toglie il cappello e il cappottone. È brusco nelle domande e non esterna mai il suo pensiero e anche al prefetto dice: Io non penso!

Quando arriva al colpevole si ferma lì, non esprime altro se non:

Giudicare non è il mio compito.

Simenon scriveva un romanzo di Maigret in tre giorni, i nomi dei personaggi li cercava nelle guide telefoniche e i fatti di cronaca reali lo ispiravano. Nel suo scrivere era essenziale, come questo film, senza orpelli, quelli e le sensazioni le lascia a noi lettori.

Così come per questo film.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI