Malika Ayane ha subìto razzismo in tenera età, precisamente quando frequentava la scuola primaria. L’artista 38enne, nata a Milano da madre italiana e padre marocchino, ha dovuto lottare e convivere con il pregiudizio sin dai primi anni della sua vita, come ha riferito ai microfoni del “Corriere della Sera”: “Alle elementari ho visto la perfidia nell’uso del termine ‘marocchino‘. Si mettevano note in classe per questo. Come al solito, paradossalmente, in una realtà più ristretta e periferica chi viene da fuori può sembrare minaccioso”.
Ai tempi del Conservatorio, invece, Malika Ayane non ha percepito disuguaglianza: “Ero palesemente un pesce fuor d’acqua, ma era stato peggio prima. Il Conservatorio era la scuola di più alto livello, ma anche la più democratica. Pagavo 150mila lire l’anno. Avevamo il noleggio degli strumenti a lungo termine. Era accessibile a tutti. Una scuola pubblica nel senso più alto del termine. Anche questo è Milano. Opportunità”. Una città dalla quale la cantante non ha mai pensato di andarsene, in quanto nel suo cuore è convinta di un assioma: “Non è cambiare paesaggio che fa cambiare le cose”.
MALIKA AYANE: “MILANO LASCIA TROPPI SPAZI DI SOLITUDINE”
Oggi, a Malika Ayane, piace ancora la “sua” Milano? A replicare a tale quesito sul “Corriere della Sera” è stata la stessa cantante, la quale ha asserito: “Mi dà fastidio tante volte. Vero che a Milano te la cavi sempre, un modo lo trovi. A volte, però, mi sembra che questa città deleghi troppo, lasci troppi spazi di solitudine, sia un po’ slegata”.
Per rendere maggiormente comprensibile il concetto appena esplicitato, l’artista ha prontamente affermato: “Quando tornavo a casa la sera, dopo il mio giretto col cane in largo Tel Aviv, e chiudevo la porta di casa, mi interrogavo sempre… Cosa succede agli altri? Cosa succede a una ragazza come sono ed ero io, ma con meno struttura, con meno fantasia (che poi sono le cose che ti salvano sempre)? Chi se ne prende cura?”.