Sono tanti gli esperti climatologi e meteorologi che stanno cercando di dare una spiegazione al devastante maltempo che ha colpito l’Emilia Romagna negli ultimi giorni, mettendo in ginocchio la regione e causando 9 vittime, 14mila evacuati, inondazioni, smottamenti e frane. Secondo Silvio Gualdi, senior scientist al Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) dove dirige la divisione Climate Simulations and Predictions, intervistato stamane dal Corriere della Sera, quello che ha provocato tale evento devastante è stato un ciclone che è nato nel Tirreno meridionale e che è risultato essere intrappolato nel centro Italia fra due aree di alta pressione, scontrandosi con il suo carico di aria umida con gli Appennini: «Le condizioni di alta pressione che fiancheggiano questa depressione – ha spiegato – le impediscono di fluire da ovest verso est, seguendo il normale flusso della circolazione atmosferica».



«Ciò – ha proseguito – ha generato sulla Romagna questa enorme quantità di pioggia. L’altro fattore che contribuisce a rendere questo evento eccezionale è il riscaldamento globale: un’atmosfera più calda contiene una maggiore quantità di vapore acqueo che, quando si verificano queste condizioni meteorologiche, è quindi in grado di produrre molta più pioggia». Ad aggravare gli effetti del maltempo in Emilia Romagna, la siccità prolungata degli ultimi mesi «perché un terreno particolarmente secco non riesce ad assorbire le precipitazioni in modo efficace, pertanto la pioggia tende a scorrere sul terreno».



MALTEMPO EMILIA ROMAGNA: “ECCO COME PROTEGGERSI DA QUESTI FENOMENI”

E purtroppo eventi di tale portata rischiano di diventare normalità: «È probabile che questi eventi estremi diventino più frequenti in futuro. Piove meno frequentemente, e quindi aumenta la probabilità di periodi siccitosi, ma quando piove le precipitazioni sono più intense. È una tendenza che stiamo già osservando e secondo le proiezioni dei modelli climatici si accentuerà ulteriormente in futuro».

Paola Mercogliano, responsabile della divisione Remhi (modelli regionali ed impatti geo-idrologici) del Cmcc, aggiunge: «Come adattarsi? Si possono mettere in atto molte misure. Da quelle più “soft” – come l’informazione, la formazione e un sistema efficace di monitoraggio e allarme – alla trasformazione dell’ambiente, rendendolo meno vulnerabile. E poi lavorare sulla mitigazione del cambiamento climatico. Se un aumento delle temperature di 1,2°-1,3° produce simili conseguenze, proviamo a immaginare cosa succederà con temperature più elevate. Gli scenari degli scienziati sono molto chiari al riguardo. Anche sui costi sempre maggiori dell’adattamento, per mettere in sicurezza la popolazione e i beni».